per Eugenio Montale

A pianterreno
SCOPRIMMO CHE AL PORCOSPINO
PIACEVA LA PASTA AL RAGÙ.
VENIVA A NOTTE ALTA, LASCIAVAMO
IL PIATTO A TERRA IN CUCINA.
TENEVA I FIGLI INFRUSCATI
VICINO AL MURO DEL GARAGE.
ERANO MOLTO PICCOLI, GOMITOLI.
CHE FOSSERO POI TANTI
IL GUARDIA, SEMPRE ALTICCIO, NON N’ERA SICURO.
PIÙ TARDI IL RICCIO FU VISTO
NELL’ORTO DEI CARABINIERI.
NON C’ERAVAMO ACCORTI
DI UN BUCO TRA I RAMPICANTI.




Una poesia semplice, come lo è stata quella del Montale ultimo: descrizioni, epigrammi, scalfitture in un terreno friabile. La stanchezza dell'uomo alla fine del suo viaggio. La domanda sorprendente a Parise: "Dici che dopo morti diventeremo delle foglie?". In questo contesto trova posto la poesia A pianterreno: poche pennellate, un porcospino, una pasta al ragù, il muro, i rampicanti, l'orto. C'è il Montale dei "gocci aguzzi di bottiglia" dei primi anni, ma siamo anche oltre, in una nebbia che è sì vecchiaia ma anche comprensione ampia e circolare. In uno dei miei pochi anni di scuola andammo, noi di sette otto anni, ad una specie di rappresentazione teatrale in cui ci fu presentato questo testo. Eravamo tutti troppo piccoli per capire qualcosa e l'ambiente ricordava in modo sinistro un centro correzionale, con questi individui parecchio bruschi che ci facevano mandare a memoria questi versi, che per noi significavano poco o nulla. Amen. Altro capitolo della strage educativa. Per fortuna la forza della poesia sopravvive anche all'inettitudine delle persone. A pianterreno è la forza evocativa che emerge dal vissuto, che lo compenetra, lo esplora e poi riemerge per parlarne a noi mortali. L'andamento della lirica è piano, senza inutili rime baciate, quasi prosastico, con versi lunghi che variano dalle otto alle undici sillabe: distillati di quella materia preziosa che è la memoria, appunto, poetica. Non chiediamo di più all'autore: siamo in un territorio privato, intimo, di una delicatezza inafferrabile; siamo nell'officina del poeta che torna con la mente ad un luogo, un luogo minuto, semplice, e lo trasfigura, lo rende memorabile. Operazione già condotta, con risultati altrettanto notevoli, per esempio nella Casa dei doganieri. Ma qui siamo in un campo di ricerca ancora più minimale: il protagonista è un riccio, animale della terra, che scava un buco e va oltre, va al di là, all'insaputa di tutti. Inno alla libertà? Forse è dire troppo. L'incertezza interpretativa è troppo alta. Accontentiamoci di questo panorama notturno e discreto, del suo silenzio.

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