tag:blogger.com,1999:blog-73940710776401125582024-02-20T19:33:16.401+01:00Il quaderno sepoltoIl blog ufficiale di Ariberto Terragni. Opinioni di un disorganizzato, sfogo di uno scrittore, ciò che resta alla fine del giorno. Idee, deliri, recensioni, presentazioni di libri.Ariberto Terragnihttp://www.blogger.com/profile/16445435200905819856noreply@blogger.comBlogger473125tag:blogger.com,1999:blog-7394071077640112558.post-77098072132741437692021-06-20T13:46:00.000+02:002021-06-20T13:46:23.916+02:00la scelta etica dell'aperitivo<p style="font-family: "Times New Roman"; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><br /></span></p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEie2qB8JFIqkW3yhwgi6g6NvC0vg3PhTf9z_RxTQxZiwU-C4o5neK71Np-GlXjQ2ZJQ_AHfjDsr_TWzQSnAa0KgbfD25NLCruyt1RBCYqfxzIu9dk7WXoo8AYNdzRrz65mZzE052D3oR0s/" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="" data-original-height="960" data-original-width="863" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEie2qB8JFIqkW3yhwgi6g6NvC0vg3PhTf9z_RxTQxZiwU-C4o5neK71Np-GlXjQ2ZJQ_AHfjDsr_TWzQSnAa0KgbfD25NLCruyt1RBCYqfxzIu9dk7WXoo8AYNdzRrz65mZzE052D3oR0s/w576-h640/assembramento-lega-fratelli-ditalia.jpg" width="576" /></a></div><span style="background-color: white; color: #cccccc; font-size: large;"><br /></span><p></p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="background-color: white; font-size: x-large;">Prima di tutto bisognerebbe capire che cos’è la libertà, se mai fosse possibile darne una definizione unica e definitiva. Poi bisognerebbe capire cosa significa per ciascuno, ma prima ancora bisognerebbe capire se tutti quelli che ne parlano ne abbiano anche una minima nozione, una minima prospettiva morale e storica. Alla fine potremmo forse riuscire a dire qualcosa di sostanziale sul concetto di libertà a un anno e passa dall’inizio della pandemia. Sicuramente non affidandoci ai titoli dei giornali né credendo più di tanto ai podcast di esperti e tuttologi vari. Sicuramente non credendo alla schiera di giovani e meno giovani che si ammassano in discoteca esultando per il “ritorno alla normalità dopo la libertà che ci è stata tolta”. Quella non è libertà. Non c’è niente di romantico nel tornare alla confusione nobilitandola con il termine libertà. Non è libertà nemmeno la vacanza fuori porta, né l’aperitivo. La sensazione è che siamo di fronte ad un’altra occasione persa. I disastri portati dalla pandemia in termini di perdite umane e conseguenze di ogni genere non ha portato ad una crescita collettiva: generalmente siamo gli stessi di sempre, accampati fuori da un Apple Store per l’ultimo I-phone o sballati ad una festa di laurea. Gli stessi di sempre che fanno il mutuo per comprare macchine che non si possono permettere e come massima ambizione hanno la vacanza in spiaggia. Legittimo, per carità. Non generalizziamo, non sia mai. Non giudichiamo, men che meno. Ma prendiamo nota del fatto che la tempesta ci è passata sopra senza spostare di un millimetro la sostanza di cui eravamo tutti soliti lamentarci. </span></p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="background-color: white; font-size: x-large;">La massa impazzita aveva solo voglia di tornare a fare quello che faceva prima, consumando a più non posso, annullandosi a più non posso nei riti collettivi, per di più sfoderando l’alibi nobile del rilancio dell’economia e - appunto - del riappropriarsi della libertà sottratta (ma da chi?). I giornali non hanno fatto che pompare a più non posso la retorica squallida della guerra e dei guerrieri, ma la verità è che non c’è stata nessuna guerra e gli eroi sono stati pochissimi. Di sicuro chi oggi reclama il diritto all’aperitivo e alle vacanze non è un reduce delle Termopili, ma un consumatore come tanti che non ha trovato alternative credibili alla vita che faceva prima. </span></p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="background-color: white; font-size: x-large;">Al di là degli hashtag e delle feste sui balconi - ormai remota memoria da primo lockdown - non c’è stata nessuna svolta spirituale né tantomeno, come va di moda dire, “etica”. C’è stata, questo sì, l’affermazione inquietante di un modello comunicativo sempre più retorico e auto assolutorio, fatto di perbenismo di facciata e di passioni alla moda, dove la pacificazione forzata in nome di nuovi valori fantasma (il così detto <i>politicamente corretto </i>che ormai dilaga in ogni direzione) sta creando forme sempre nuove di qualunquismo intellettuale: prova ne sono il ruolo degli <i>influencer </i>e della stampa perbenista, assurti ormai al rango di paradigmi di riferimento culturale per generazioni giovani e meno giovani. </span></p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="background-color: white; font-size: x-large;">Poi ci si riempie in continuazione la bocca con la parola “cultura”, ma cultura di cosa? Non ho sentito una parola, un concetto che indicasse una nuova direzione delle cose, una cultura della crisi che ripartisse con i mezzi del contemporaneo per costruire un alfabeto che finalmente faccia dell’avanguardia. E invece mi ritrovo Orietta Berti in cima alla hit parade in compagnia di degni esponenti del vuoto attuale: il trionfo del post postmoderno. Ma questa è un’altra storia, mi viene da dire. </span></p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="background-color: white; font-size: x-large;">A un anno e quattro mesi dall’inizio di questo strano percorso l’oggetto di studio che emerge con più violenza è un concetto sempre più vago di etica, una specie di scatolone che mette insieme tutto e tutti con picchi di moralismo talvolta grotteschi, e la solita corsa all’ombrellone estivo, ultimo baluardo delle risorse umane ed affettive, ultimo ridotto di speranze e glorie. Non è cambiato niente: è l’Italia degli anni Sessanta, ma almeno all’epoca non si aveva la pretesa di definire l’Aperol un diritto e non c’erano social dove postare il panino con la frittata. </span></p>Ariberto Terragnihttp://www.blogger.com/profile/16445435200905819856noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7394071077640112558.post-76270424815927752082021-02-19T01:18:00.005+01:002021-02-19T01:19:48.390+01:00Anni di niente<p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="color: #666666; font-family: arial; font-size: large;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="color: #666666; font-family: arial; font-size: large;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbz01otyfRMaK2Z8mgw2xZB6bnN7DcToakGVOLd6lDMULRdH4iHXML2Vpjl1JvBEMhQJNpyHxFIvAEmAr1VgTUSr1pkznNEE-NGsSpz4eKi-mb7a3m6ml2AsA7oLRlH_R6s0XCgXHoXtQ/" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="" data-original-height="171" data-original-width="294" height="342" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbz01otyfRMaK2Z8mgw2xZB6bnN7DcToakGVOLd6lDMULRdH4iHXML2Vpjl1JvBEMhQJNpyHxFIvAEmAr1VgTUSr1pkznNEE-NGsSpz4eKi-mb7a3m6ml2AsA7oLRlH_R6s0XCgXHoXtQ/w589-h342/image.jpeg" width="589" /></a></span></div><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="color: #666666; font-family: arial; font-size: large;"><span style="color: #666666; font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></span></p><span style="color: #666666; font-family: arial; font-size: large;"><div style="text-align: justify;">“2005/2021: anni di niente”, così recitava uno striscione che ho adocchiato l’altra sera in programma televisivo. A manifestare erano studenti, o almeno credo. Le manifestazioni non andavano di moda già da un po’, figurarsi ora in tempi di covid. Però quell’anno, il 2005, mi ha portato alla mente qualcosa; un sentimento, forse una reminiscenza. Gli anni che vanno dal 2005 al 2008 segnarono un possibile cambiamento per l’Italia. Fu un’epoca caratterizzata da un certo fermento nelle piazze, nelle università, nella politica locale. E’ possibile ormai parlarne in chiave storica visto che ci separa ormai un quindicennio da quel periodo. La società italiana stava vivendo una fase di transizione che avrebbe portato ad una ibridazione della politica, iniziata nel 1994 e conclusa, si può dire, ai giorni nostri. Ibridazione tra la classica versione ingessata e ampollosa della politica e il suo contraltare, ossia qualche cosa che con il Palazzo non ha nulla a che vedere, chiamiamola pure società civile o come ci pare. Prima il berlusconismo con i manager di Fininvest e poi l’antisistema grillino non ancora pentastellato con il suo esercito di vari ed eventuali presi dalla strada. In comune, lo stesso orizzonte: diventare sistema. Prima con Forza Italia e poi con i Cinque Stelle. L’antipolitica che entra nel sistema e si fa politica esattamente come tutti gli altri partiti. Il detonatore culturale di quella breve temperie fu - strano ma vero - la pubblicazione di un libro inchiesta di due giornalisti, Stella e Rizzo, intitolato <i>La casta</i>, un modo di dire che per qualche anno entrò prepotentemente nel lessico collettivo, un po’ come <i>resilienza</i> al giorno d’oggi. </div></span><p></p><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="color: #666666; font-family: arial; font-size: large;">La casta era un saggio di denuncia contro gli sprechi e gli scandali corporativi del Potere che tutti citavano e che quasi nessuno aveva letto; un robusto lavoro giornalistico che metteva il dito nella piaga dello scialacquio sistemico italiano, qualcosa che tutti conoscevano benissimo ma che nessuno si era sognato fino a quel momento di mettere in discussione. Le rivoluzioni degli italiani di solito si risolvono con un barrito al bar.</span></p><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="color: #666666; font-family: arial; font-size: large;"><i>La casta</i> mise in evidenza un dato di fatto: l’Italia sta in piedi non si sa come, la classe politica è screditata, servono rigore e responsabilità, ma sembra che nessuno, tanto per cambiare, sia disposto ad assumersene l’onere. Si consumava in quegli anni lo scollamento definitivo tra l’ideologia politica e la prassi governativa, un dittico che fino agli anni Novanta nessuno si sarebbe mai neanche so<br />gnato di mettere in discussione. E così come un’altra rivoluzione mancata - quella del 1992 - portò al governo quella strana restaurazione che fu il berlusconismo, allo stesso modo i bollori sociali del 2005/2008 ebbero come conseguenza il contrappasso della democrazia, cioè la tecnocrazia dei così detti governi tecnici, esecutivo Monti in primis. </span></p><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="color: #666666; font-family: arial; font-size: large;">Da allora le linee tendenziali della politica che mi pare di intravedere sono sostanzialmente due: da un lato il <i>naïf</i> come categoria neo culturale e dall’altra la tecnocrazia come supposta risoluzione razionale delle controversie. Improvvisazione magari anche di buona volontà da un lato, esecuzione di un piano finanziario dall’altro. Detta così all’ingrosso, mi sembra sia questa l’evoluzione dello stato di cose degli ultimi quindici, sedici anni. </span></p><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="color: #666666; font-family: arial; font-size: large;">La cultura politica, che tanto imperversava negli anni Sessanta e Settanta, non ha lasciato traccia. Quella che un tempo si chiamava ideologia ha lasciato posto ormai da molti anni a questo strano ircocervo, fatto di due opposti che non si attraggono per niente ma che hanno colto nella convivenza un fattore di crescita per entrambi. L’uomo della strada e l’uomo della finanza si sono alla fine trovati a gestire il sistema paese in un rapporto di disequilibrio dichiarato che però garantisce a entrambi una sembianza di civiltà: quella democratica offerta al tecnocrate dall’uomo della strada e quella della competenza offerta all’uomo della strada dal tecnocrate. Non proprio un patto, ma un mutuo soccorso in nome del vitalizio da una parte e delle mani libere sulla cosa pubblica dall’altra. </span></p><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="color: #666666; font-family: arial; font-size: large;">In mezzo, c’è tutto ciò che la classe politica non si sforza più nemmeno di fare finta di rappresentare: porzioni di paese anonime, vasti appezzamenti di intellighenzia per nulla valorizzati, interi settori di società reale che non hanno alcuna corrispondenza parlamentare a nessun livello. Il mondo della ricerca non ha rappresentanza, il mondo intellettuale che non si riconosce in un certo club non ne ha. </span></p><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="color: #666666; font-family: arial; font-size: large;">Anche per questo la definizione “anni di niente” significa qualcosa. Significa che negli ultimi vent’anni non abbiamo avuto alcun tipo di avanguardia così come non abbiamo avuto uno straccio di qualcosa che renderà questi decenni degni di essere ricordati, se non in negativo, per crisi, pandemie, pochezza culturale. Ed è quindi difficile per me non fare i conti con una generazione - la mia - che letteralmente non ha avuto alcun peso nella definizione dell’alfabeto contemporaneo. Un vuoto che è al tempo stesso una responsabilità e un segnale inquietante: non c’è stata alternativa politica di qualità ma soprattutto non c’è stata alcuna forma di pensiero in grado di sostenere quella richiesta di rinnovamento tanto auspicata a parole quanto inattesa e probabilmente non voluta nei fatti. Per fare le rivoluzioni bisogna sporcarsi le mani e in Italia una vera rivoluzione non c’è mai stata. Nel 2005 non c’erano premesse culturali, non c’era niente. Tante università, tanti indirizzi, tante facoltà ma nessuna capacità di dare spessore alla protesta, di darle una forma e una direzione che potesse poi produrre qualcosa anche sul piano pratico. C’è poco da incolpare la politica di questo visto che il Potere di ogni tempo non fa che difendere disperatamente se stesso. </span></p><p style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 15px;"><br /></p>Ariberto Terragnihttp://www.blogger.com/profile/16445435200905819856noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7394071077640112558.post-15125807600862714162020-11-26T11:35:00.003+01:002020-11-26T11:37:49.171+01:00In morte di Diego Armando Maradona<p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="font-size: large;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; font-family: "Times New Roman"; text-align: center;"><span style="font-size: large;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhN9-WLJYPrRRuoboOgTHpeltFxPvAFeAxhhJEgS-zcKld4Nua9tUd7mGV9U5fB2S9j3HVIrRp8weAubnggl5azVyGhtRl6_3Xcv01x1SRs5OcNAMCZSahw1_7iof5gUUHEhYTFU5SJYfE/s600/410px-Maradona_gol_Napoli_1987-1988.jpg.webp" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="410" height="567" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhN9-WLJYPrRRuoboOgTHpeltFxPvAFeAxhhJEgS-zcKld4Nua9tUd7mGV9U5fB2S9j3HVIrRp8weAubnggl5azVyGhtRl6_3Xcv01x1SRs5OcNAMCZSahw1_7iof5gUUHEhYTFU5SJYfE/w388-h567/410px-Maradona_gol_Napoli_1987-1988.jpg.webp" width="388" /></a></span></div><p style="font-family: "Times New Roman"; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span></p><span style="font-size: large;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><span style="font-family: arial;">La prima immagine che mi viene in mente è quella della fine: Diego che urla demoniaco verso una telecamera a bordo campo dopo un goal difficile e magnifico contro la Grecia, in un torrido pomeriggio americano, durante l’improbabile mondiale di Usa 94. Canto del cigno, cuore messo a nudo: in quell’azione martellante dell’Argentina forse più forte (e perdente) di sempre c’è tutta la parabola finale di Diego. Ubriacatura di tocchi di prima a squadernare la difesa ellenica e poi il suo sinistro: curvo appena il necessario, essenziale come la geometria euclidea. Un goal perfetto, semplicemente perfetto. Altro che doping. In quella necessità balistica c’è l’addio a un mondo, a un modo folle di intendere il calcio. Dopo saranno ritorni fugaci, in un triste entrare e uscire di scena ora obeso ora tatuato, ora allenatore di squadre strampalate ora uomo politico improvvisato amico di Fidel e Chavez. Senza mai trovare uno scopo e soprattutto senza mai trovare pace. Ma a che serve essere altro quando sei Maradona? Lui il calcio lo aveva come scienza infusa. Lui che era mancino e basta, che si allenava poco e male, che fu sempre invischiato con il doping, quando la cocaina si sa che serve solo a diventare più stupidi, non certo a migliorare le prestazioni sportive. </span></span><span style="font-family: arial; text-align: justify;">Diego è un’emozione non inferiore a quella dei grandi artisti. Non lo giudico, perché forse non lo capisco neanche: gli voglio bene e basta. Diego non si può comprendere misurandolo con il metro del sarto. Quello che il genio calcistico argentino ha rappresentato e rappresenta non è calcolabile in una statistica, né tantomeno nei biasimi moralistici di qualche bacchettone che viene a insegnarci che una vita non si spreca così. Allora forse è vero che solo gli altri artisti e gli analfabeti sanno capire un artista, senza bisogno di farci la solita pappardella sul bene e il male. Un artista al massimo sa fare del male a se stesso e anche in questo Maradona è stato un maestro indiscusso. Pretendere di ingabbiarlo in una statistica significa non aver capito niente del calcio e forse della vita.</span></div></span><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Lui è stato l’allegria del popolo e non ha mai chiesto di essere un dio. Il calcio è uno sport semplice, che fa felice la gente, ed è giusto e sacrosanto che il calcio sia così amato. Un calcio in crisi è segno di una società sofferente, di uno sport sofferente, visto che è grazie al calcio e alla sua popolarità che altri sport meno seguiti possono sopravvivere; non sarebbe male ricordarlo. </span></p><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">E Diego di questo romanzo popolare è stato il massimo interprete. Nessuno con il suo carisma, nessuno con la sua genialità. </span></p><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Con Diego finisce l’era dei miti. La sua generazione era anche la generazione degli Ayrton Senna, dei McEnroe e dei Borg: personaggi omerici su cui era possibile scrivere un romanzo. Oggi non è che cronaca. Trafiletti di gossip, tatuaggi, scemenze su Instagram. Le starlette sportive di oggi non sono niente rispetto a questi titani tutto istinto e sangue. </span></p><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">E allora la solita, retorica domanda: come è possibile scindere il demone del genio da quello della distruzione? Domanda retorica, ma di una retorica meno spregevole di quella dei sepolcri imbiancati che pretendono di vivere con il bilancino del farmacista. </span></p><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">E allora mi viene in mente un’altra immagine. Diego su un campetto di fango e sterpaglia di Acerra, nel 1985. Gioca con dei ragazzini. Senza guardie del corpo, senza cordoni di sicurezza, senza sponsor, senza soldi. Diego è scarmigliato, infangato e bellissimo. Non ha bisogno dell’estetista né di un ufficio stampa: nella società ingorda ed evirata di oggi non vedrete mai nessuno sportivo, nemmeno di infimo livello, fare qualcosa del genere. Diego sì. </span></p><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><span style="font-family: arial;">Non c’è altro da dire. </span><br /></span></p><div class="separator" style="clear: both; font-family: "Times New Roman"; text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><br /></span></div><span style="font-size: large;"><br /></span><p></p>Ariberto Terragnihttp://www.blogger.com/profile/16445435200905819856noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7394071077640112558.post-34111598286053012092020-06-29T12:12:00.000+02:002020-06-29T12:12:14.494+02:00A proposito di sicurezza
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgLkNWCIrwv0SgBtiOn9y7apKvGfHtFJkklAp5S8fktWY7-3KQo41jEK0Y-CJQHRtqlVJ0LfXc3pwNG3oxjlC3J0P5lOYepUaPJqSH0XhmTBxVvUbhj15w-tPE4YrsKWbiw_x7WjTkSDdc/s1600/sicurezza-prima-di-tutto-iso-45001_2-1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="573" data-original-width="860" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgLkNWCIrwv0SgBtiOn9y7apKvGfHtFJkklAp5S8fktWY7-3KQo41jEK0Y-CJQHRtqlVJ0LfXc3pwNG3oxjlC3J0P5lOYepUaPJqSH0XhmTBxVvUbhj15w-tPE4YrsKWbiw_x7WjTkSDdc/s400/sicurezza-prima-di-tutto-iso-45001_2-1.jpg" width="400" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><i>Vexata quaestio</i> quella della
sicurezza. La parola nasce da una locuzione latina relativamente
remota,<i> sine cura</i>, filtrata dal più tardo <i>securus</i> per
uno dei soliti fenomeni di assimilazione. Oggi è tutta una ricerca
di sicurezza: dalla malattia, dai pericoli, dal diverso, dal tempo
che passa. Un bisogno spasmodico di aggrapparsi a qualcosa che è uno
dei tratti più evidenti e vividi di quest'epoca di mezzo. Un tratto
umano troppo umano che accompagna la nostra storia da sempre si può
dire, fino a diventare uno degli aspetti dominanti del dibattito
pubblico dell'epoca Covid. Ecco che “in sicurezza” diventa la
formula magica che ci consente di ripartire. Qualche mascherina, un
po' di distanziamento, un po' di gel da spargere come unguento
magico. Il rapporto che ormai si è creato con le parole, in epoca di
tecnica e scientismo morboso, è appunto di tipo magico, cioè
miracoloso e irrazionale. “In sicurezza!” E Sesamo si apre.
“Scienza!” e la verità si palesa. E' sorprendente come ormai
pretendiamo di risolvere tutto attraverso le parole e come la
comunicazione abbia assunto un ruolo decisivo di riscrittura della
realtà, o se si preferisce di riordinamento in chiave sociologica di
tutta la massa di riferimenti e dati empirici prodotti da una nuova
etnologia di massa che avrebbe fatto impallidire il povero Durkheim.
</span></div>
<span style="font-size: large;">
</span><div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Non esiste politico che non parli
attraverso slogan. Non esiste azienda che non si fondi su parole
d'ordine. Chiamiamoli pure hashtag o come ci pare, sempre parole
sono. Tendenze che a volte durano lo spazio di poche ore o poche
settimane: comunque grumi di suono che riassumono una paura
collettiva e la esorcizzano. “Andrà tutto bene”: fa niente se
poi è andato tutto male, il rito apotropaico della verbalizzazione
ha svolto il suo compito. La sicurezza è solo l'ultima delle
preghiere atee del nostro tempo. Giaculatorie prive di un dio
riconosciuto, ma destinate al vasto pantheon contemporaneo dove
alligna di tutto e tutto trova il suo altare, un po' come nel tardo
Impero, quando Roma faceva del sincretismo uno stile di vita al punto
da offrire ai Cristiani la possibilità di includere quella loro
strana divinità nel novero di tutte le altre. Una opzione tutto
sommato di ampie vedute da parte dei loro futuri persecutori.
</span></div>
<span style="font-size: large;">
</span><div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Diversi secoli dopo, ci ritroviamo in
un territorio non del tutto dissimile. La strana ideologia che sta
prendendo il posto del Cristianesimo reclama un certo numero di
preghiere e parole chiave: e in questo senso “sicurezza” ha tutte
le carte in regola per avere un posto d'onore. Sine cura. La chiave
che rivela il senso attuale del termine è esattamente nel suo
doppio, nel rovescio della medaglia occulta di un'epoca che fa
dell'esaltazione della cura individuale uno dei suoi assiomi
portanti. Il culto del singolo, la ragione del singolo,
l'affermazione del singolo. Non è solo la conclusione ovvia di un
processo iniziato con il postmoderno – preconizzato da un famoso
ciclo di lezioni di Michel Foucault al Collège de France – ma
l'inevitabile conseguenza della liquefazione delle società
occidentale, che non può più permettersi salvazioni collettive e
allora ripiega sull'iper responsabilizzazione del singolo e al tempo
stesso sulla sua esaltazione come unico riferimento normativo. Cos'è
questa sicurezza che cerchiamo? La risposta sarà per forza di cose
individuale, come ormai tutto il resto. Le aspettative del singolo,
le priorità del singolo e in mezzo una vasta battaglia per
accaparrarsele, a discapito di chiunque altro. Resta da vedere come
questa idea abbastanza inedita nella storia dell'uomo del “volersi
bene” (o con l'attenuazione del “volersi un <i>po' più</i> bene”
come se non ce ne volessimo già anche troppo) andrà ad armonizzarsi
con la sicurezza collettiva. Finora ci stiamo barcamenando con l'idea
che tante sicurezze individuali alla fine costituiranno una qualche
sicurezza generale (un po' come la formula ipocrita del “se non
sono felice io non posso fare felici nemmeno gli altri”), ma non è
detto che alla lunga questa ennesima narrazione funzioni. Perché
dire “in sicurezza” in fondo non significa niente. Ognuno ti dirà
la sua versione. Ognuno ha il suo modo di essere sicuro e di rendere
sicuri gli altri, non ultimo quello di berci sopra. Come qualcuno mi
disse un giorno: “I can't have someone else's need and expectations
but mine”.
</span></div>
<span style="font-size: large;">
</span><div style="text-align: justify;">
<style type="text/css"><font size="5">
P { margin-bottom: 0.21cm }</font></style></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
Ariberto Terragnihttp://www.blogger.com/profile/16445435200905819856noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7394071077640112558.post-88710196242119426012020-06-18T11:28:00.002+02:002020-06-18T11:30:47.350+02:00Cultura da podcast<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiAGDiai2Kvn7M4JnpFxt4tF8fJ61R4LbHMpzyc4DohotG1F1B_YJkncVWesnVgF4KlRovp1JCk15kXfem2yYL5vqrdBLpWvA-f-QDx6f4Dv6AcsgQUN9XjoZSzB9lsZbZw4gKOaTzBnZw/s1600/834bbcaeb32aca5ccff5f9cbc1f59bc5.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="757" data-original-width="956" height="315" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiAGDiai2Kvn7M4JnpFxt4tF8fJ61R4LbHMpzyc4DohotG1F1B_YJkncVWesnVgF4KlRovp1JCk15kXfem2yYL5vqrdBLpWvA-f-QDx6f4Dv6AcsgQUN9XjoZSzB9lsZbZw4gKOaTzBnZw/s400/834bbcaeb32aca5ccff5f9cbc1f59bc5.jpg" width="400" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large;">Lo stanco rito della maturità quest'anno si ripropone rivitalizzato dalla salsa Covid, altra narrazione gentilmente cucinata dai media con l'avallo solenne delle sacre Istituzioni. Retorica vuota di parole, notti prima degli esami, video diari, consigli del linguista, consigli del fisico, consigli dell'immancabile psicologo da rubrica del cuore. Nella società degli hashtag, dei flashmob, delle fiaccolate, anche la maturità reclama il suo posto nel Pantheon dell'Ovvio come categoria antropologica dei nostri tempi. Non più quella sessantottina, non più quella settantasettina, nemmeno più quella degli anni 90 e Duemila. In quest'epoca senza nome (come si chiama questo decennio? E quello scorso?), i simulacri di Istituzione che ancora si agitano nella caverna di Er, lanciano twit e iniziative, rielaborano formule di valutazione negli alambicchi del politichese e fanno presenzialismo sui media, annunciando rinascite e rilanci. In realtà, le solite soluzioni a costo zero (valutare in decimi, sessantesimi, centesimi in fondo è gratis), con l'aggiunta del termoscanner e del plexiglas (con una esse sembra sia il modo giusto di scriverlo con buona pace del Ministro o Ministra, non ho ancora capito come si dice). Qualche slide, un po' di paternalismo sul futuro che incombe e sulla società del domani e via andare. Poco importa se da questo sistema scolastico usciranno tanti cittadini incapaci di senso critico, che conoscono poco e male l'italiano, che non hanno la minima idea di che cosa sia parlare una seconda o una terza lingua. Tutto rientra nello specchio dell'Italia di oggi. Confusa, vacua, in crisi perenne. Dominata da innominabili lotte di potere interne, da media idioti, da un senso della cultura ridotto a <i>pr</i><i>ê</i><i>t à porter</i> delle terrazze romane e milanesi. Senza questa retorica tenuta in piedi dai media, il fantasma della maturità non esisterebbe nemmeno più, al pari di tanti altri fantasmi letteralmente inventati dalla stampa. </span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large;">La condivisione del sapere forse non avviene neanche più a scuola. Di sicuro non avviene entro i meccanismi novecenteschi tramite cui il sistema scolastico italiano ancora si articola. La struttura è fatiscente, come tutte le istituzioni italiane, per quanto mesmerizzate da chiacchiere e nuove terminologie, perlopiù adattate in modo ridicolo dall'inglese che la maggior parte degli italiani, inclusi quelli al potere e di presunta cultura, non sa parlare. Serviranno interventi molto più seri di revisione dei saperi in questo Paese, che certamente non hanno niente a che vedere con l'uso scanzonato della didattica online o con i consigli della nonna di qualche guru dell'informazione. La trama che ci aspetta è in realtà molto più complicata e riguarda la necessità di tramandare l'immenso sapere che l'Italia rappresenta come corpo vivente (a prescindere dai meriti inesistenti degli attuali attori sociali) in accordo con le possibilità di veicolazione contemporanea, cioè la rete, sicuramente, ma anche la capacità di organizzare i contenuti culturali in modo virtuoso e selezionare la classe degli insegnanti in modo radicale, sia in termini di conoscenza che di capacità comunicativa della conoscenza. In concreto: far sopravvivere il patrimonio scientifico/culturale italiano in modo attivo, non museale, ma allo stesso tempo rigoroso, lontano dalla specie di ciarla da salotto dove discutibili maestri discettano in podcast sul senso della vita. E per fare questo serve la capacità di usare le tecnologie senza diventarne schiavi. Tra le tante possibili definizioni di cultura, la società dei media attuale ha scelto quella dei divini maestri che esprimono la loro opinione, che per l'appunto è al massimo la <i>loro</i> opinione. Mentre servono le basi, serve anche la capacità di dare un senso alla noia della grammatica e di inscriverla in uno scenario di senso: perché serve, perché pensare serve, perché non possiamo pensare di gestire il Paese e l'Europa a colpi di twit e di slide. E in questa confusione, la miseria dell'esame di maturità. Un esame che di fatto non certifica più niente, ma che viene fatto risorgere dai media tanto per parlare di qualcosa e soprattutto far parlare i politici di turno, con le loro frasi fatte e i convenevoli imbarazzanti. </span></div>
Ariberto Terragnihttp://www.blogger.com/profile/16445435200905819856noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7394071077640112558.post-39311204616225745872020-06-09T14:20:00.000+02:002020-06-18T11:30:04.787+02:00La retorica della task force<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiSpczrrE0jX2VUGh40lW_J3Paj765RAgJuwf-siyT_dgM80bOr9HmCTilJfSyknvGsqmItPcXuaGNwUxyWhqbAzCQ5L0qpKdzr26MLWhE2j__ztWCo-w8BEdl0_12GwZmtxqlXftDbzFQ/s1600/Euro_AdobeStock_232451582-k5c--1020x533%2540IlSole24Ore-Web.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="533" data-original-width="1020" height="332" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiSpczrrE0jX2VUGh40lW_J3Paj765RAgJuwf-siyT_dgM80bOr9HmCTilJfSyknvGsqmItPcXuaGNwUxyWhqbAzCQ5L0qpKdzr26MLWhE2j__ztWCo-w8BEdl0_12GwZmtxqlXftDbzFQ/s640/Euro_AdobeStock_232451582-k5c--1020x533%2540IlSole24Ore-Web.jpg" width="640" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: "times new roman" , serif;"><br /></span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: #666666; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: "times new roman" , serif;">Non credo che l'Italia verrà salvata dalle </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: "times new roman" , serif;"><i>task force</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: "times new roman" , serif;"> o da qualunque altro organismo denominato in inglese aziendale. Non credo nemmeno che l'Italia verrà salvata dalle banalità elencate dall'ultimo in ordine di tempo di tali organismi, questa specie di congrega di saggi (l'ennesima) capitanata dai soliti bocconiani. Integrazione, inclusione, cultura, imprenditoria, sono le solite parole vuote che vengono agitate come scongiuri pagani tutte le volte che il mostruoso sinolo di politica e finanza alla guida reale del Paese cerca di soffiare un po' di fumo negli occhi all'estenuata cittadinanza italiana. I problemi italiani sono sotto gli occhi di tutti: istituzioni obsolete, catena di comando inadeguata e frammentata, corruzione dilagante, sprechi su sprechi che mantengono un apparato di potere parassitario e inefficiente. I punti chiave di questo disfacimento sistemico sono tutti contenuti nell'antica – e sempre orrendamente inglesizzata – </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: "times new roman" , serif;"><i>spending review</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: "times new roman" , serif;"> di qualche anno fa: un'enciclopedia di enti inutili da tagliare, di pleonasmi, di retoriche amministrative che servono solo ad alimentare se stesse e clientele di potere varie. Non è più tempo di progetti e di laboratori, ma di azioni semplici e mirate, come ridurre la pressione fiscale, decapitare le rendite di potere dei vari parlamentini sparsi per la penisola e investire nelle uniche cose che sono necessarie e che sono sempre state massacrate in decenni di mala amministrazione: sanità, istruzione, opere pubbliche. Non serve nessuna task force, ma solo una classe politica che sappia lavorare e abbia chiare le priorità. I problemi che ammazzano lo sviluppo italiano sono gli stessi da sempre e nessuno ha fatto niente per risolverli, perché sono parte integrante del sistema di potere italiano, e tutti gli italiani sanno quali sono, dalla questione meridionale, a quella settentrionale. Questioni che per decenni abbiamo preteso di risolvere istituendo compiaciute cattedre universitarie anziché lavorare su un processi di identità nazionale, con il risultato, fatto emergere da questa ennesima crisi, di trovarci in un paese spaccato su tutto, dove ci odiamo a vicenda. La retorica degli </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: "times new roman" , serif;"><i>hashtag</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: "times new roman" , serif;">, dell'</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: "times new roman" , serif;"><i>andrà tutto bene</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: "times new roman" , serif;"> e delle stanche supercazzole delle istituzioni non bastano più a camuffare un tessuto sociale disgregato, debole, mai del tutto coeso, reso ancora più fragile da decenni di precarietà economica. Decenni in cui il mantra delle “riforme” è stato solo l'ipocrita eufemismo per dire tagli ai servizi essenziali in modo da continuare a finanziare lo spreco sistemico. E così ci ritroviamo non solo con un paese geograficamente e culturalmente diviso su tutto, ma anche con una delle tassazioni più alte d'Europa al netto di uno dei servizi pubblici peggiori. Un paese in cui la Regione più ricca d'Europa – dati alla mano, piaccia o no, la Lombardia – dispone di un numero irrisorio di terapie intensive e ha smantellato il sistema sanitario territoriale in nome di una strana ideologia del risparmio (chiamiamolo così), che include la fallimentare compartecipazione di pubblico e privato, non si capisce bene per quale ragione (se non, appunto, per ragioni ideologiche). E i soldi dove sono andati a finire? Dove sono i soldi? Perché i soldi in questo paese ricco e produttivo spariscono? Non servono task force, non servono progetti, non servono laboratori, non servono forse più nemmeno partiti e partitini: serve capire dove vada a finire questa enorme massa di denaro. Se non lo capiremo, il debito pubblico continuerà a salire, i servizi saranno sempre peggio, e nonostante l'Italia sia il 20% del PIL dell'Eurozona saremo sempre dipendenti dalle arroganze di paesi piccoli e improduttivi, fondati su prodotti finanziari di dubbia moralità, assolutamente inutili in termini di progresso ma molto remunerativi in termini di interessi bancari. </span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: #666666; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: "times new roman" , serif;">Una volta recuperati i nostri soldi, faremo quello che ci pare. Discetteremo di cultura e bellezza, ci vanteremo del nostro patrimonio artistico, affolleremo di nuovo le piazze con le nostre fiaccolate, canteremo sui balconi, ci premieremo a vicenda per dirci quanto siamo bravi. Potremo anche inorgoglirci per le nostre </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: "times new roman" , serif;"><i>eccellenze</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: "times new roman" , serif;">, come ci piace tanto chiamarle. Ma fino a quando non faremo riemergere i soldi del nostro lavoro e non cominceremo a usarli in modo sensato, tutti questi discorsi saranno invariabilmente inutili. Il tentativo di risolvere i problemi attraverso narrazioni non può funzionare per sempre. </span></span></span></div>
Ariberto Terragnihttp://www.blogger.com/profile/16445435200905819856noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7394071077640112558.post-89163228688143433692020-04-29T13:22:00.001+02:002020-04-29T13:22:15.028+02:00Lettera aperta ai trentenni <br />
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhY8M8Ne1yZJivM5qjTHMvNoPN0hz9SbqmZonC9RK9G5PF5y8G_JMAimYWTryjG7PmXDL8pBVj4YgovhVVjstw0-5BjJv0qNuicsgyBTSutTNJgi-IftpvCs2R7td8fqk5WK9fGsbsVxkk/s1600/Jacques-Louis_David%252C_Le_Serment_des_Horaces_detail.jpg" imageanchor="1"><img border="0" height="576" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhY8M8Ne1yZJivM5qjTHMvNoPN0hz9SbqmZonC9RK9G5PF5y8G_JMAimYWTryjG7PmXDL8pBVj4YgovhVVjstw0-5BjJv0qNuicsgyBTSutTNJgi-IftpvCs2R7td8fqk5WK9fGsbsVxkk/s640/Jacques-Louis_David%252C_Le_Serment_des_Horaces_detail.jpg" width="640" /></a><span style="font-size: large;"></span>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">In altri tempi la generazione dei
trentenni sarebbe stata la punta di diamante delle forze in campo,
specialmente in un momento di crisi come questo; in una società
civile avanzata, in grado cioè di attivare virtuosamente delle
connessioni interne tra tutte le componenti del tessuto sociale, i
trentenni dovrebbero incarnare la parte del leone. Abbastanza giovani
da avere idee nuove ma già abbastanza scafati da non cadere nelle
trappole del giovanilismo. E' sempre stato così, in tutte le guerre
e rivoluzioni e relative ricostruzioni, da Giulio Cesare al boom
economico. Qualcosa invece non ha funzionato con i nati in Italia
negli anni Ottanta del Novecento. Sono gli ex vilipesi bamboccioni,
quelli che un decennio abbondante fa venivano tacciati di essere
pigri e mammoni. Sono i nati per ubbidire, inquadrati in un sistema
familiare, scolastico, istituzionale che ne ha sempre preteso la
fiducia incondizionata salvo poi abbandonarli e addirittura deriderli
nel momento del passaggio del testimone. Testimone che di questo
passo non avranno mai. Sono stati, siamo stati oggetto di un
moralismo a volte intollerabile, ma anche le prime vittime di un
debito pubblico abnorme lasciato in eredità da anni molto più
spensierati di quelli che abbiamo vissuto noi.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">I trentenni italiani di oggi sono
mediamente la generazione che ha studiato più di tutte quelle
precedenti, che sa più lingue, che ha viaggiato di più, che si è
confrontata con un mercato del lavoro liquefatto e con una società
sempre più sfarinata e priva di puntelli protettivi. Sono i primi
soggetti sociali che hanno dovuto gestire i le conseguenze della
strategia della gradualità individuata da Chomsky, per cui, un
diritto alla volta, ci è stato tolto tutto o quasi l'essenziale.
Certo abbiamo avuto la possibilità di studiare (più o meno, visti i
tagli insensati e criminali a istruzione e cultura che si sono
perpetrati nei decenni come una violenza silente e ampiamente
tollerata dalle suddette Istituzioni), salvo poi renderci conto che
eravamo imbrigliati in un labirinto di carte, controcarte,
certificati, permessi, idoneità che hanno reso la vita di tanti un
percorso kafkiano, disperso tra concorsi, esami infiniti e ripetuti,
tesi, tesine e permessi che ci hanno resi eterni alunni di scuola
primaria in attesa della campanella. Ma nel frattempo siamo
invecchiati. E ancora adesso, in piena crisi Covid, i trentenni non
hanno voce. Non ce l'abbiamo perché non abbiamo un ruolo forte nella
società. Non ce lo siamo preso questo ruolo, si potrà obiettare. Ma
a meno di una rivoluzione di quelle cattive, nessuno lascia niente
agli altri. E così ci troviamo ancora una volta marginali se non
addirittura inesistenti. Non esiste un'avanguardia artistica espressa
dai trentenni. Non esiste un concetto di generazione, non abbiamo una
intellighenzia. Tutta la scuola nozionistica e <i>ministeriale </i>che
abbiamo fatto non si è risolta in una proposta culturale, non si è
risolta cioè nella capacità di trasformare la parola scritta in un
libro in un gesto di trasformazione della realtà. E questo dovrebbe
dirla lunga sulla validità del percorso paternalistico e frustrante
che abbiamo fatto finora. Il problema è che queste risorse latenti
ora non sono disponibili se non in forma rarefatta, frammentata, come
rarefatta e frammentata è la nostra consapevolezza come entità
collettiva e operante all'interno del corpo sociale. Siamo rimasti a
metà strada tra i nostri genitori, figli del '68 e del '77, e i
Nativi digitali. Il nostro momento non è mai arrivato. Stavamo
preparando l'ennesimo esame o eravamo in coda in un centro per
l'impiego, contenti di accedere alla dimensione demansionata del
nostro essere adulti, mentre la vita ci scorreva di fianco. Paganti
in tutti i sensi, ma senza rappresentanza. Un equivoco, ma anche un
danno per la comunità, ammesso che ne esista ancora una.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">La vicenda Covid sta ponendo sul tavolo
molte questioni irrisolte, nodi al pettine che ora reclamano una
soluzione, ma da questo epocale <i>redde rationem</i> viene ancora
una volta meno la componente dei trentenni, che sono in panchina,
quando invece dovrebbe essere l'opposto. Non vedo altra soluzione se
non quella di assumere una rappresentanza prima di tutto culturale
che sappia liberare tutte le altre energie latenti di questa porzione
di società: classe imprenditoriale, artigianale, professionale. Ma
sono gli intellettuali i primi a doversi mettere in gioco, e non più
solo per raccogliere le briciole di una piccola e relativa gloria
personale, ma per attivare un discorso molto più ampio, di
condivisione ed energica proposta, in tutti i campi, in tutti i
settori. Di tempo ne è passato a sufficienza: il nostro
apprendistato finisce qui. Non vale più la truffa istituzionalizzata
del <i>long life learning</i>, è tempo di agire e di ritrovarsi in
un'ottica di radicale affermazione di questo tempo come del <i>nostro</i>
tempo. Reclamare una posizione culturale, creare un'avanguardia e
civilmente imporla è diventato un atto necessario e doveroso. La
ricaduta a pioggia sarebbe virtuosa in tutti i campi del sapere e del
lavoro, della società e delle professioni. Dalle ceneri di questa
tragedia è tempo che nasca una classe dirigente di trentenni.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<style type="text/css">
P { margin-bottom: 0.21cm }</style><style type="text/css">
P { margin-bottom: 0.21cm }</style>Ariberto Terragnihttp://www.blogger.com/profile/16445435200905819856noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7394071077640112558.post-52369201503485208502017-03-06T12:14:00.001+01:002017-03-06T12:17:38.851+01:00gestire l'estinzione <div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgfDeCx-OyNvUIYtG5rcIx5ynWlmZJonEFnYjIf3RQTlSry1DZic9ApzYC47zPB3fs3Hqwt-EZYCkpnaevwsE_Cc1m9vh-OsoqDV9VdocK_AaIyek2JNvN71skOD6oc_Csqn1a5IKsaI8Y/s1600/Caravaggio_-_David_con_la_testa_di_Golia.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgfDeCx-OyNvUIYtG5rcIx5ynWlmZJonEFnYjIf3RQTlSry1DZic9ApzYC47zPB3fs3Hqwt-EZYCkpnaevwsE_Cc1m9vh-OsoqDV9VdocK_AaIyek2JNvN71skOD6oc_Csqn1a5IKsaI8Y/s400/Caravaggio_-_David_con_la_testa_di_Golia.jpg" width="322" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">I dati Istat del 2016 segnano un nuovo punto basso delle nascite in Italia. Il dato, ovviamente, è inquietante, e non si tratta solo di un problema di retorica familiare: il problema è che la parte giovane e attiva della popolazione non ha la possibilità materiale di avere figli e creare una famiglia (qualsiasi tipo di famiglia). Il dato è perfettamente coerente con quelli, altrettanto tragici, della distribuzione della ricchezza e della disoccupazione: sono i dati di un paese che sopravvive a se stesso. Erodendo il piccolo patrimonio di nonni e genitori (casa unica di poprietà, pensioni, risparmi di una vita, perché questo è il "patrimonio" dei non privilegiati) e gli ultimi relitti di stato di diritto ancora parzialmente attivi dopo il progressivo smantellamento del concetto di società. Stato sociale, vale la pena di dirlo, largamente convogliato, nella sua forma residuale, verso gli immigrati. </span><br />
<br />
<span style="font-size: large;">Esiste una fascia grigia e variamente composta di cui non si occupa più nessuno. Sono i lavoratori stipendiati, gli operai, i giovani e meno giovani che si sono trovati nel mezzo di una crisi economica spaventosa e ormai ultra decennale, le persone massacrate dalle legge Fornero: la vecchia classe media che nel giro di dieci anni si è trovata declassata a neo proletariato, ma senza tutele e senza case popolari, con un potere di acquisto ridotto del trenta percento e contratti lavorativi ai limiti della sopravvivenza. Non c'è nessun mistero nell'ormai cronico declino italiano. Inettitudine della classe dirigente, corruzione e familismo interni, asservimento agli altri stati europei, anche quando l'Italia aveva un'economia di gran lunga superione alla Gran Bretagna e paragonabile alla Francia. Gli errori storici si pagano. Il punto ora è salvare quello che resta di questo paese. Farlo non tanto per noi, perché ormai c'è poco da fare, ma per chi verrà. Perché nonostante tutto l'Italia rappresenta ancora un argine alla barbarie. La cultura millenaria, i valori morali, la conoscenza. </span><br />
<br />
<span style="font-size: large;">Non è retorica: è il senso del cammino della civiltà occidentale che qui, per tante ragioni storiche più qualcosa di imponderabile, ha trovato la sua collocazione privilegiata. Contro la falsa cultura dell'opportunismo e della tecnica sganciata da qualsiasi contenuto etico e umano. Il destino culturale e filosofico dell'Occidente si gioca soprattutto dove esiste la testimonianza dell'identità europea: molto più in una tela di Caravaggio o nell'opera di un artigiano esperto che non nello strapagato design al truciolo di qualche azienda nordica. L'Italia incarna ora come non mai questa diga: è tutto qui quello che può restituire dignità alle persone e rendere il futuro più ricco e meno banale. Più carico di significato e meno dipendente dai soliti soldi. Un'utopia che rappresenta l'unico, vero obiettivo ancora alla portata di questo paese sfibrato: una sfida simbolica giocata sul terreno che è ci è più congeniale. Senza copiare malamente gli altri, per una volta. </span></div>
Ariberto Terragnihttp://www.blogger.com/profile/16445435200905819856noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7394071077640112558.post-75925362238184793852017-02-17T09:41:00.002+01:002017-02-17T09:42:20.023+01:00la negazione della libertà nella società del privilegio crescente<style type="text/css">P { margin-bottom: 0.21cm; }</style>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh0W4WpDXTjarCeo389yWuen-ZxOph299wH2BX25jk-L-BvViTlaXWVjiNucTzDLXJ0SUL4qT4gd88aONGbvqc7IqEax7rWn57CjMBzHLs5KmmrfuMXy7hWZsdDOinhl2Nfzbs0cWAeffo/s1600/9788807721922_quarta.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh0W4WpDXTjarCeo389yWuen-ZxOph299wH2BX25jk-L-BvViTlaXWVjiNucTzDLXJ0SUL4qT4gd88aONGbvqc7IqEax7rWn57CjMBzHLs5KmmrfuMXy7hWZsdDOinhl2Nfzbs0cWAeffo/s400/9788807721922_quarta.jpg" width="256" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Questi dieci anni di crisi hanno
determinato un fatto, come documentato dal rapporto Oxfam: un
ulteriore spostamento delle risorse economiche verso chi già
deteneva un tenore di vita superiore alla media. Un dato che non è
solo tecnico, ma politico. Lo squilibrio tra chi ha e chi non ha, con
l'arricchimento dei primi e l'estinzione della classe media,
configura uno scenario in cui i rapporti di forza sono completamente
cambiati: se negli anni Sessanta un grande manager percepiva in media
cinque, sei volte un operaio, oggi il banco è saltato, e la
differenza appartiene ormai al dominio dell'incalcolabile.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Come si arriva a questo? La grande
massa economica sulla quale non si vuole incidere è di carattere
sostanzialmente ereditario: nella società liquida c'è ancora un
elemento di grande solidità: l'ereditarietà delle risorse
economiche. I beni, le professioni, le così dette “opportunità”
sono un ente che passa, in un numero sorprendente di casi, di padre
in figlio. Parliamo di lobbies, circoli chiusi, gruppi di potere.
It's given potremmo dire. E' la vita, è sempre stato così.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Curioso come vada di moda parlare di
diritti ma sia scomparso dal dibattito pubblico il grande scandalo
dell'ineguaglianza crescente. Nascere a pochi metri di distanza
(prendiamo un quartiere bene di Milano con un quartiere male della
stessa città, come esempio comodo) determina in modo ineluttabile (e
sempre più ineluttabile) il percorso della vita intera: ambiente
culturale, scuole di prestigio o no, attività extracurriculari,
sport praticati, possibilità di accedere a università migliori. Non
è tollerabile il maltrattamento di un animale (giustamente) ma lo è
la deprivazione di occasioni sociali di un essere umano. Sulla base
di un solo dato: i soldi.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Il crollo del welfare comporta anche
questi inconvenienti. E non stiamo parlando di un rabberciato
marxismo fuori tempo massimo, ma del suo esatto contrario: di
un'applicazione cosciente ed equa dello stato di diritto laddove
fattori indipendenti dalla volontà del singolo determinino
situazioni di evidente diseguaglianza.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Scrive Isaiah Berlin, nell'introduzione
al capitale Cinque saggi sulla libertà:</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><br /></span></span>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><i>Il senso in cui io uso il termine
libertà non comporta soltanto l'assenza di frustrazione (che si può
ottenere sopprimendo i desideri), ma l'assenza di ostacoli alle
scelte e alle attività possibili, l'assenza di ostacoli lungo le
strade che una persona può decidere di percorrere. </i></span></span>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><br /></span></span>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><i>Per fare un esempio concreto: io
considero desiderabile l'introduzione di un sistema uniforme di
istruzione generale primaria e secondaria in ogni paese, se non altro
per farla finita con le distinzioni di status sociale che attualmente
sono create o promosse dall'esistenza di una gerarchia sociale delle
scuole in alcuni paesi occidentali, e in particolare nel mio. Se mi
si domandasse perché la penso così dovrei addurre quel tipo di
ragioni di cui parla Spitz, per esempio le esigenze intrinseche
dell'eguaglianza sociale: i danni che derivano dalle differenze di
status create da un sistema di istruzione determinato più dalle
risorse economiche o dalla posizione sociale dei genitori che non
dalle capacità e dai bisogni dei figli; l'ideale di solidarietà
sociale; la necessità di garantire al maggiori numero possibile di
ragazzi la possibilità di una libera scelta, possibilità che
l'eguaglianza di istruzione, probabilmente, rende più agevole. </i></span></span>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><br /></span></span>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Isaiah Berlin: un liberale.</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><br /></span></span>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">La negazione di questa libertà,
riprendendo il Kant della Critica della ragion pratica, mina alla
base la possibilità di un'etica. Senza libertà di scelta vera non
esiste società morale. Se l'era della tecnocrazia è incapace di
formulare valutazioni di merito che non contemplino la presenza di
una quantità oggettiva e misurabile, forse si dovrebbe tenere
presente un fatto: l'oligarchia economica eletta a sistema porta
all'estinzione, come in natura. Combinare in continuazione gli stessi
elementi genetici porta a disfunzioni; su scala sociale, ad un
istupidimento progressivo della classe dominante (in quanto fondata
in larga parte sul censo e sull'ereditarietà delle risorse) e
all'annientamento di tutto ciò che è via via più subordinato in
termini economici. E' un massacro sociale portato avanti scientemente
dalla classe economica attuale: è una società del privilegio
ereditario. Un fatto sempre più evidente nella differente qualità
di scuole e università e nella relativa possibilità di accesso al
lavoro. Perché vengono citate sempre le eccezioni ma mai la sostanza
numerica dei fatti: si parla dell'uno su mille che ce l'ha fatta
partendo da zero, ma non dei cento, duecento, cinquecento che
nonostante le buone doti sono andati persi per strada. E questo è un
danno oggettivo, per niente irrazionale. O razionale solo nella scala
di valori autoriferita che l'oligarchia economica impone a proprio
vantaggio: una partita a dadi truccati</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Più che una forma di classismo, è una
forma di miopia economica. Una delle tante di una società che sotto
le apparenze della modernità e della libertà si rivela invece
essere il cadavere decomposto di un'idea medievale di uomo e di
rapporti di potere e il cui limite pratico sta nel rappresentare un
modello estremamente auto protettivo e auto riferito, impermeabile ai
mutamenti esterni e tutto teso a dispiegare i propri mezzi con il
solo intento di mantenere lo status quo.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Gli anni della crisi per qualcuno sono
stati un affare: non bisogna dimenticarlo mai. Più che bruciarsi, i
soldi si sono spostati, hanno cambiato concentrazione. E tanto più
questa concentrazione è cambiata, tanto più i servizi dello Stato
(quelli mantenuti con tasse altissime) sono peggiorati. La direzione?
La soppressione del pubblico come concetto. La soppressione della
scuola di alta qualità per tutti come diritto. La soppressione della
sanità di alta qualità per tutti. E' un movimento ormai ad uno
stato molto avanzato e che potrebbe essere ridimensionato solo da un
gesto: dal rompere questa catena. Dal prendere coscienze della catena
invece che ornarla di fiori.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Ma la tecnocrazia non ha morale, dunque
non dispone nemmeno dei mezzi necessari per operare una valutazione
in concreto delle questioni sul tavolo: ragionando sul cosa ma non
sul come, sulla quantità invece che sulla qualità si finisce per
escludere dal sistema di riferimento una sostanziale fetta di realtà,
che prima o poi tornerà per forza a reclamare spazio. Uno spazio che
dovrà prima o poi essere ripreso.
</span></span></div>
Ariberto Terragnihttp://www.blogger.com/profile/16445435200905819856noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7394071077640112558.post-47144066551054163902017-01-29T12:49:00.001+01:002017-01-29T12:50:10.026+01:00la difficoltà di combattere e il nuovo niente<style type="text/css">P { margin-bottom: 0.21cm; }A:link { }</style>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">Rimando a questo documento:
<span style="color: navy;"><span lang="zxx"><u><a href="http://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2015/09/EU-report_finale_08.09.pdf">http://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2015/09/EU-report_finale_08.09.pdf</a></u></span></span></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="color: navy; font-size: large;"><span lang="zxx"><u><a href="https://www.oxfam.org/sites/www.oxfam.org/files/file_attachments/bp206-europe-for-many-not-few-090915-en.pdf">https://www.oxfam.org/sites/www.oxfam.org/files/file_attachments/bp206-europe-for-many-not-few-090915-en.pdf</a></u></span></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span>
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgP04MqUro-3DBfFpKWBnktOHNfQO7m38ZpfiCArKRIvzhyakcafXpr2FANsQFrKMtkS8IfJMC2-9MeaWVgy-RxWlpM1hkXPaLC3TAL1FLuhlrfaYmVNq70lNs0GblPWkmlazOzFETeKlQ/s1600/f1_0_la-bandiera-dell-unione-europea-compie-30-anni.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgP04MqUro-3DBfFpKWBnktOHNfQO7m38ZpfiCArKRIvzhyakcafXpr2FANsQFrKMtkS8IfJMC2-9MeaWVgy-RxWlpM1hkXPaLC3TAL1FLuhlrfaYmVNq70lNs0GblPWkmlazOzFETeKlQ/s400/f1_0_la-bandiera-dell-unione-europea-compie-30-anni.jpg" width="400" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;"></span></span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">Vorrei provare a ragionare su un fatto:
la tendenza progressiva della società europea ad accentrare le
risorse economiche nelle mani di pochi e ad istituire, di fatto, una
società stratificata: gli ottimati garantiti che detengono il potere
economico e una gerarchia di classi subalterne, che non hanno quasi
diritto di parola, se non per mezzo di sfibrati e sempre più logori
sistemi democratici di rappresentanza.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">Su che cosa si fonda la società
occidentale contemporanea? Bauman parlava di società liquida, quindi
inindividuabile, in continuo mutamento, senza una forma. Un'altra
tentazione potrebbe essere quella di considerare, nietschianamente,
l'occidente come il luogo di un nichilismo compiuto, prodotto da anni
di tecnicizzazione senza regole e alla fine autoprodotto dalla
tecnica stessa: luogo dell'indifferenziato e del tutto uguale dove
quindi qualsiasi istanza etica si invera nel suo esatto contrario.
Con il risultato di fondarsi sul niente: perfetto nichilismo.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">Ma la deduzione non è così semplice.
Perché l'occidente non ha perso il gusto della narrazione: è questo
l'elemento che fa la differenza. Esiste cioè una realtà oggettiva
che è determinata dal dissolvimento dell'etica in favore di un metro
di giudizio che – se per motivi di opportunità e apparenza
politica non può essere direttamente il denaro – è la capacità
performativa: fare cose che portino ad un guadagno. La tecnocrazia è
una dimensione totalmente autoriferita, che non necessità di altri
punti di paragone. I soldi si spiegano da sé potremmo dire.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">Ed esiste poi la narrazione-Europa: né
più né meno che un racconto dove si spiega come l'unione
commerciale e finanziaria di tanti paese abbia portato solo a
vantaggi, per il bene di tutti e nel nome di una solida democrazia.
Il punto, come in tanti hanno scritto tante volte, sta nel fatto che
questa fusione si sia svolta ignorando completamente l'identità
culturale europea, considerando solamente la mera funzione di scambio
di prodotti e circolazione di merci come paradigma principe della
nazione europea. In un orizzonte umano e comunitario (l'Europa, bontà
sua, si definisce comunità) può funzionare un contratto tra popoli
operato da banche, molte delle quali off-shore?
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">Il nichilismo della tecnocrazia ha
l'astuzia di raccontare se stesso come una grande opportunità: ma a
conti fatti questa opportunità si è rivelata per pochi. Rimando
alle statistiche di cui sopra: l'Europa presenta ampie e
insospettabili sacche di povertà. La ragione? La ricchezza è
distribuita male. In pochi hanno troppo, in tanti lavorano nella
terra di nessuno della subalternità e per finire una fascia
considerevole di persone appartenenti alla ricca Europa è sotto la
soglia di povertà, che in un continente ricco rappresenta un livello
di guadagno (si parla sempre e solo di soldi) sotto cui è
relativamente facile finire.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">In senso pratico questo divario produce
un fatto molto concreto: la condanna di una grossa fascia di
popolazione e rimanere in una forma larvata e politicamente corretta
di schiavitù. Contratti deboli, precariato, disoccupazione: il costo
sociale dello sbando economico di questi anni ricade sui figli delle
famiglie con meno risorse economiche di partenza. Meno beni ereditati
significa minore possibilità di accedere a scuole e università di
prestigio, con la conseguente minore probabilità di trovare una
buona collocazione nel mondo del lavoro (e alimentando il circolo
perverso del precariato e della povertà vera e propria), ma anche
minore accesso a qualsiasi forma culturale in senso lato: dai corsi
di lingue alle attività sportive, dalle settimane bianche ai viaggi
di istruzione, accumulando un discrimine a mano a mano sempre più
incolmabile tra chi ha e chi non ha. Il discorso potrebbe essere
esteso alle cure mediche, con tutta una serie di conseguenze
facilmente intuibili. O in ambito legale, dove chi ha di meno potrà
permettersi collegi difensivi di minore spessore rispetto a chi ha di
più. E così via. E' una spirale a discendere. Una nuova forma di
modello feudale o, se si vuole, di colonialismo interno.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">L'obiezione per cui è giusto che le
famiglie che hanno accumulato più sostanze nel tempo godano di
condizioni di vita tanto migliori rispetto agli altri è abbastanza
inconsistente e addirittura contraddittoria nel momento in cui si
volesse usare come argomento il libero arbitrio: la libertà o è
tale o non è libertà. Non esistono gradazioni di libertà. O
pensiamo che una comunità matura debba essere in grado di dare le
stesse occasioni di istruzione, cure mediche e aspettativa di vita al
neonato di Scampia e a quello nato in via Solferino, a quello nato ad
Atene e a Berlino, o il modello europeo ha fallito.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">Nessun esproprio, nessuna azione contro
la proprietà privata, niente comunismo. Stiamo parlando di
redistribuire le ricchezze in modo più bilanciato. Perché se dati
alla mano una stretta minoranza di persone ha accumulato una
percentuale rilevante di risorse a discapito di una grossa
maggioranza per di più in tempi di crisi significa che il modello
democratico europeo è una chimera.</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">La narrazione, però, aiuta anche in
questo: la narrazione parla spesso di diritti, bambini, infanzia,
pari opportunità. Sono parole-maschera, parole come pervertimento
programmatico della realtà.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">Viviamo in una società che considera
intollerabile dare uno schiaffo ad un bambino, ma alla domanda: è
giusto che questo bambino nato in una famiglia povera abbia enormi
possibilità in più di un bambino nato in una famiglia ricca di non
migliorare la sua condizione socio-economica? Risponde: così è la
vita.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">E' il grande equivoco della società
morale sostituita dalla società economica. La società performativa
non può costitutivamente dare risposte di ordine morale: entra in
crisi, non ha argomenti o se ce li ha sono stereotipi, nella migliore
delle ipotesi contraddizioni come quella appena citata.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">Il comunismo e il terzomondismo non
hanno niente a che fare con tutto questo. Sono false piste. Primo
perché il comunismo ha storicamente fallito, e in modo tremendo, e
il problema della redistribuzione del reddito non è un fatto
ideologico, ma una questione molto concreta sulla quale si giocherà
il destino d'Europa in termini di difesa dell'identità e di
successo/fallimento del processo di unificazione; secondo perché non
stiamo parlando del terzo mondo, ma del nucleo del ricco occidente. </span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;"></span></span>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">Il limite della tecnocrazia sta nella
scarsa flessibilità dei suoi modelli: sembra un paradosso visto che
la flessibilità è uno dei mantra della tecnocrazia. La tecnica al
potere predica flessibilità agli altri, ma in sé la tollera molto
poco: non è capace cioè di includere modelli che non le
appartengano.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">Il risultato è, altro paradosso, un
continente molto debole. Un continente fiacco, privo di energie e
molto vecchio. Un continente senza sangue: perché continua a
perpetuarsi nella stessa identica sequenza di concetti chiave:
terzomondismo, politicamente corretto, difesa a oltranza del profitto
immotivato, assenza totale di un vero orizzonte etico (i soldi come
equivalente generale dell'etica non soddisfano quei bisogno latenti
che non possono essere comprati).
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">Questa confusione trova un surrogato
nel combattimento in slogan, training aziendali, corsi
automotivazionali, mentre è il fronte interno che cede, sia per
esempio nell'incapacità di gestire in modo razionale la questione
immigrazione, sia nel lasciare che i membri della comunità che
costituiscono l'Europa non abbiano i mezzi necessari per formarsi e
accedere ai migliori strumenti formativi e intellettuali.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">L'espressività guerresca e un po'
cialtrona che è entrata nel linguaggio comune segnala come la
questione del combattere – che è un concetto chiave della storia
europea – sia diventata materia da training aziendale e slogan sui
post dei social network. E allora tutto diventa “lotta”,
“battaglia”, “competizione”, “guerra”, “nemico”,
“vittoria”, “ottimismo”, “non mollare mai”.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">Peccato che questa narrazione –
filosoficamente inesistente e moralmente equivoca – generi vittime
proprio tra coloro che più la sostengono: quella che una volta era
la classe medio bassa. Piccola borghesia, lavoro salariato, piccoli
commercianti. Che per limiti culturali, conformismo e consumismo
eletti a metro della vita pubblica (un modello inconscio introiettato
con tanta forza da essere diventato ormai un archetipo inamovibile)
gioca la sua vita sul filo di un lessico violento e individualistico,
erodendo le fondamenta di quella coesione che per un breve lasso di
tempo è stata (fu) la sua forza.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">I rapporti di forza di una società
della larvata ma largamente accettata diseguaglianza determinano un
ritorno ad una fase aristocratica e arcaica della società europea:
un modello feudale, basato essenzialmente sul privilegio e sul
mantenimento del privilegio da parte di tale gruppo di potere. Un
potere spesso ereditato e corporativo, che passa di padre in figlio
intatto o ampliato, dove il confine tra risorsa pubblica e privata
sfuma nell'intreccio perverso tra interesse appunto pubblico e
privato. In poche parole: se con i miei soldi posso esercitare una
forma più o meno lecita di pressione su soggetti pubblici o privati
per generare altri soldi dove finiscono i miei soldi e dove
cominciano quelli della comunità che paga le tasse?
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">Scrive Herbert Marcuse nel dimenticato
Eros e Civiltà: <i>Il dominio è ben diverso dall'esercizio
razionale dell'autorità. Quest'ultimo, che è inerente a ogni
divisione del lavoro in ogni società, proviene dalla consapevolezza
ed è limitato all'amministrazione di funzioni e di ordinamenti
necessari al progresso dell'insieme. Invece il dominio viene
esercitato da un gruppo particolare o da un individuo particolare
allo scopo di mantenersi e rafforzarsi in una posizione privilegiata.
</i></span></span>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">La struttura sociale di oggi ha in
qualche modo digerito questo assunto, dandolo ormai per scontato. La
partita si gioca su un tavolo diverso e in ambiti molto più sottili.
Liquefatti i diritti e posto un confuso senso di individualità al
primo posto (del tutto irrilevante, visto che il singolo non può
fare niente su un piano collettivo) ne consegue un passaggio,
cruciale: la lotta tra poveri.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">La rimanente e marginale parte delle
risorse economiche va suddivisa tra un numero crescente di persone:
gli scarti per gli scarti. Messa in questi termini la situazione
suona cruda ed è per questo che la narrazione politica interviene
ancora una volta, donando una terminologia appropriata anche a
questo: iper-responsabilizzazione individuale e lessico da guerra da
autobus. Piccoli guerrieri uno contro l'altro, in una lotta
darwiniana per la sopravvivenza, a colpi di rinuncia (di diritti, di
soldi, di accesso alla cultura, di possibilità sociali in genere).
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">Siamo capaci di indignarci per i
diritti degli amici animali, ma non per il fatto che nascere in un
posto o l'altro dell'Unione Europea (spesso differenze di poche
centinaia di metri, di quartieri) determini un gap di possibilità
economiche insostenibile e tendenzialmente sempre maggiore, esteso,
come si è già detto, a tutto: istruzione, salute e lavoro.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">Libero arbitrio? Il tema è abnorme.
Certo che, come già rilevava Foucault, è difficile parlare di
libertà nel momento in cui il Potere (oggi quasi esclusivamente
economico) agisce in ogni ambito della società, attraverso
molteplici forme di micropotere e altrettanti accorgimenti di
inquadramento operati tramite mass media e scolarizzazione di base.
Se una volta l'aristocrazia era fondata anche su valori –
ovviamente relativi all'epoca – come virtù militare, conoscenza,
prestigio personale, oggi tutto questo è stato surrogato
nell'infinito equivalente generale del denaro, che assolve a funzione
di prezzo e valore in un colpo solo, emendando l'intelletto dallo
sforzo della differenziazione.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">Dove la libertà allora? Se ne parla in
continuazione, ma in fondo in modo sterile. Se, come diceva
Baudrillard, Dio non esiste e quindi è dappertutto, allo stesso modo
potremmo azzardarci a dire che la libertà è costantemente negata e
quindi esaltata in modalità permanente. Sei libero di fare tutto, ma
non hai i mezzi materiali per fare niente: la libertà è il fantasma
di una scelta. Uno dei tanti valori fantasma proposti da una società
che non solo non crede più – letteralmente – a niente se non al
denaro come valore in sé e alla performance come suo profeta, ma che
non ha più nemmeno i mezzi intellettuali per pensarsi in modo
critico. Perché ogni critica parte da un presupposto etico, cioè da
un'analisi dei dati materiali sullo sfondo di una conoscenza che
tenga conto anche della <i>qualità</i> delle scelte e non solo della
<i>quantità</i>.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">Il brivido del niente sta anche nello
smarrimento di uno scenario di senso. Se tutto è intercambiabile e
in fondo non esistono differenze degne di essere apprezzate se non in
termini economici, ne consegue che anche i rapporti umani
soggiacciono alle regole di mercato. Spesso è stato così nella
Storia, ma non è <i>sempre e solo stato così</i>. Il punto è che
oggi questo nichilismo dell'ottimismo è diventato il fondamento
stesso dell'Occidente. Nel tentativo di fissare le dinamiche dei
rapporti in un algoritmo dei consumi, si è di fatto istituita una
nuova ideologia, che non ha niente da invidiare alle religioni: è un
Moloch indiscusso e venerato, perché posto al di fuori di
razionalità e critica: è la tecnocrazia.</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">E uno dei deliri di questa religione
sta proprio nel voler fare ammettere come razionale e logico il fatto
che una percentuale numericamente irrilevante di popolazione
determini, attraverso un potere economico, chiuso e sostanzialmente
ereditario, le scelte e la libertà di tutti gli altri.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
Ariberto Terragnihttp://www.blogger.com/profile/16445435200905819856noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7394071077640112558.post-63778827059592166412017-01-03T16:19:00.000+01:002017-01-03T16:19:09.451+01:00parole per niente<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPPUl6SwJCT2Yf6sFfcElwWDZljXXHbPtoywiXNwwdB_ATsQAiohxmF3pKYxeMBm49JvJ4FUg6FVcRkBOOd6b1xxElJA4uvJs6QkUBiw1IsjAmwFm1h_8S9pubV7U7WxhHPTARjPGi3OY/s1600/la%252Bronda%252Bdei%252Bcarcerati.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPPUl6SwJCT2Yf6sFfcElwWDZljXXHbPtoywiXNwwdB_ATsQAiohxmF3pKYxeMBm49JvJ4FUg6FVcRkBOOd6b1xxElJA4uvJs6QkUBiw1IsjAmwFm1h_8S9pubV7U7WxhHPTARjPGi3OY/s400/la%252Bronda%252Bdei%252Bcarcerati.jpg" width="316" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">Mi è stato ripetuto molte volte, nel corso del 2016 e anche prima, un semplice concetto. E' una frase ripetuta molto spesso dalla gente e in qualche modo amata dall'uomo della strada. "La tua generazione deve fare la rivoluzione, voi non fate niente e quelli si approfittano". Detta così suona quasi romantica: un invito alla ribellione, un invito al coraggio. Parole vuote, che non significano niente. Prima di tutto "loro" chi? Chi sono questi loro? I vecchi a cui paghiamo la pensione? I nostri genitori? Lo Stato? Le Istituzioni? L'Europa? Chi? </span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">Punto secondo: cosa significa fare la rivoluzione? Lotta armata? Sedizione? Ci si inquadra, ci si organizza in forme paramilitari e parastatali, cosa? Questo paese ha già conosciuto tentativi più o meno manovrati e di lotta armata, e con quali risultati? Questo paese ha conosciuto intere stagioni di lotta politica estrema e dilaniante, dove è stato versato sangue vero, non simbolico. E con quali risultati? Cosa si intende esattamente per rivoluzione? Ne esiste una civile, contemplata dalle leggi? </span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">Naturalmente no. Ma l'uomo della strada che incita alla lotta queste cose non le sa. Di solito non ha mai dovuto compilare un cv e non ha mai letto un libro in vita sua. Parla tanto per parlare, senza tenere conto delle conseguenze pratiche di queste frasi da autobus. </span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">Parlo per me, ma penso che la mia esperienza personale possa essere estesa anche ad altri: siamo una generazione educata ad obbedire. Alla famiglia, alle Istituzioni (Scuola, Stato...), addirittura alla Chiesa, alla Religione. Il messaggio era chiaro: ubbidisci e andrà tutto bene. Passa tante e tante ore a scuola. Rispetta lo Stato, rispetta il Professore. Il problema è che non è andato bene niente. E passati i trent'anni ci ritroviamo con i cocci in mano e un simulacro di democrazia che non lascia presagire niente di buono: ancora sacrifici, ancora tagli, condizioni di lavoro sempre più disperate, scarsa rete sociale. In altre parole è possibile, ovviamente, una salvezza individuale, ma è da escludere qualsiasi salvezza collettiva, come accadeva una volta: con contratti di categoria, protezione sindacale, stato sociale, redistribuzione della ricchezza e mille altre tutele che oggi non esistono più. </span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">Addirittura è resa complicata anche la possibilità di generare ricchezza, visto l'ammasso di tasse, leggi, impedimenti burocratici che strozzano sul nascere l'iniziativa di chi dal niente decide di creare qualcosa. </span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">E in pagamento ci sono le offese della politica, che ha oltraggiato in mille modi milioni di italiani con la tipica arroganza del Potere autoriferito. </span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">Quale rivoluzione allora? E fatta come? L'abitudine all'obbedienza ha dato luogo a pesanti equivoci, questo è certo. Ma ancora non posso fare a meno di interrogarmi sui limiti morali del rispettare la morale: cosa è giusto fare? E sono chiaramente domande che un rivoluzionario non dovrebbe mai porsi. </span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">Ma nondimeno, posto che sia questa la ricetta risolutiva, che cosa significa "rivoluzione"? Temo che non lo sappia nessuno o che ognuno ne abbia un'idea diversa. Con intenti diversi, progetti diversi, quasi sempre incentrati sull'interesse personale. Altra conseguenza della società liquida e della riduzione di ogni istanza etica all'equivalente generale del guadagno economico individuale. </span></span></div>
Ariberto Terragnihttp://www.blogger.com/profile/16445435200905819856noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7394071077640112558.post-10245460759869223872016-11-15T22:33:00.003+01:002016-11-15T22:33:51.426+01:00per una nuova definizione di intellettuale <div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj15QyaPEtquspmyYiyXLRnhquZndJpYEEoYOG8ZOEwCwp2Lg07xaep4unfDvnaMww9ECk2-ziN3cCEAJ_3iwzqbpIx0dZzo7he5BS-F0gXv6JPGlUjxPsTbaykhEMIat-BIVWTbtrxHxg/s1600/31.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="291" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj15QyaPEtquspmyYiyXLRnhquZndJpYEEoYOG8ZOEwCwp2Lg07xaep4unfDvnaMww9ECk2-ziN3cCEAJ_3iwzqbpIx0dZzo7he5BS-F0gXv6JPGlUjxPsTbaykhEMIat-BIVWTbtrxHxg/s400/31.jpg" width="400" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: large;">E' un grande peccato che la figura dell'intellettuale sia stata inglobata in quella - penosa - del privilegiato da salotto che spara sentenze dai cuscini di cashmere, lontano dalla realtà delle cose e stipendiato da non si sa chi. E' una delle tante colpe attribuibili a una brutta versione della sinistra dei privilegi (quel liberal insulso che ha offerto su un piatto d'argento vittoria e consensi ai Trump di tutto il mondo, fregandosene di lavoratori e giovani) e un grosso danno alla coscienza collettiva, bisognosa come non mai, oggi, di essere nutrita e aiutata dal filtro culturale di un pensiero, in mezzo al marasma di proposte e sparate che puntano agli intestini della società piuttosto che alla sua parte critica. </span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: large;">La rapida evoluzione del contesto socio economico sta determinando anche la necessità di ripensare in modo incisivo la figura dell'intellettuale nella società occidentale. Sempre più ai margini del discorso, rinchiuso in una dimensione a metà strada tra l'anacronistico e il ridicolo, l'intellettuale ha finito per essere assimilato al predicatore da salotto, al giornalista tuttologo, al cattedratico di professione: insomma, al miracolato. La mutazione che stiamo vivendo in questi anni (in queste ore) sta mettendo sul piatto qualcosa di diverso, la possibilità cioè di ridefinire il ruolo dell'uomo di cultura secondo nuovi parametri. Primo fra tutti: l'intellettuale che voglia presentarsi in modo credibile deve lavorare. E per lavoro non intendo la redazione di un giornale di lusso o l'assenteismo retribuito da cattedra, a zero pubblicazioni ma a molte chiacchiere. Intendo un lavoro: uno stipendio, una professionalità vera, un qualche livello di produttività che non si risolva nella formula ridicola del "creare". Siamo un po' fuori tempo massimo per questo. Elzeviri, critiche, recensioni, rubriche, film, lectures, seminari, congressi, tutto quello che si vuole: però poi a lavorare. Mantenersi senza la sovvenzione pubblica e senza il patronato di un qualche ricco signore che finanzia il tempo libero di troppi pennivendoli dediti alla piaggeria come ad una droga pesante. I risultati di questo scollamento dalla realtà sono sotto gli occhi di tutti: assoluta incapacità di interpretazione dei fenomeni e molta arroganza. Servissero a qualcosa questi intellettuali del niente: non un libro serio, non un riferimento colto. Chiacchierano, si indignano, firmano petizioni che non servono a niente, scrivono libri che fanno schifo. E poi un infinito conformismo à la page, sempre molto alla moda in fatto di temi caldi e opinioni di tendenza ma di una povertà sconfinata quando si tratta di prendere posizioni originali e critiche. Una codardia programmatica che è lo specchio di questa classe intellettuale ormai a brandelli, che vive solo dei premi che ancora riesce a darsi addosso. Mi ricordo del libro di un famosissimo giornalista, stipendiato da un grosso quotidiano, il quale, nella quarta di copertina, si vantava "di non aver fatto altro per guadagnarsi da vivere che scrivere". Molto male. Ecco, io spero sul serio che quei tempi siano finiti. E che questi personaggi debbano prima o poi confrontarsi con contratti capestro, disoccupazione, conti da far quadrare, bollette, pasti raffazzonati e rinunce. Magari lorsignori riuscirebbero in questo modo ad azzeccare qualche previsione in più. Forse non imparerebbero a scrivere, filmare, pensare meglio, ma di certo perderebbero quel sorrisetto di sufficienza con cui hanno deriso e stanno deridendo l'inizio di un cambiamento che potrebbe (uso ancora il condizionale perché non si sa mai) costringerli per la prima volta a compilare un curriculum e a mettersi in fila come tutti gli altri. </span></span></div>
Ariberto Terragnihttp://www.blogger.com/profile/16445435200905819856noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7394071077640112558.post-34780500079739825842016-10-10T21:44:00.001+02:002016-10-10T21:44:25.021+02:00la parte emozionale <div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh0MJ6GSr0evYvogbpAM7dVutBcq97nCOGVClY_XWka59CWehZU31tYxmqcBrTyQEv6R1peHfsAHfmwbtT7eDi-gvKEvsVCaCDFdVHpVZ9vAsQD9cMdACja9nn-x19H-euX9NyABEuDMMM/s1600/42682_458_img.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="305" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh0MJ6GSr0evYvogbpAM7dVutBcq97nCOGVClY_XWka59CWehZU31tYxmqcBrTyQEv6R1peHfsAHfmwbtT7eDi-gvKEvsVCaCDFdVHpVZ9vAsQD9cMdACja9nn-x19H-euX9NyABEuDMMM/s400/42682_458_img.jpg" width="400" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: large;">Una frase captata in un ufficio come tanti: "Bisogna imparare a gestire la parte emozionale delle persone." Tralasciando per un attimo la brutta traduzione dell'inglese <i>emotional</i>, lo schematismo verbale di queste poche parole ha qualcosa di sorprendente: è un chiaro segno dei tempi e la resa verbale di un'introiezione di valore. Un valore inteso come prezzo. Gestire le persone per accumulare soldi. Gestire la parte <i>emotiva</i> dell'uomo nei termini di un valore d'uso. Una forma di manipolazione che è molto meno frutto di una strategia aziendale di quanto si potrebbe pensare. Non è un prodotto originale: è l'assunzione di un modello. Quei due dirigenti non stavano tramando un piano subdolo a danno di qualcun altro: stavano solo applicando un modello nel modo più neutro possibile. Una formula appresa in qualche tutorial. Una applicazione ingenua, ma non innocente. </span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: large;">Diceva Jean Baudrillard in un saggio epocale intitolato Lo scambio simbolico e la morte che "Le finalità sono scomparse, sono i modelli che ci generano." Modelli, cioè standard riproducibili. Standard che non generano senso perché essi stessi si pongono nell'ottica autoriferita di un senso che pretende di generarsi da solo. Scuola, istituzioni, politica, lavoro. La possibilità di un significato, in questi e molti altri ambiti, scivola sullo sfondo, come il residuo sgradito di una formazione così detta umanistica (una parola inutile che serve solo come etichetta). Il banale <i>perché</i> delle cose declassato a informazione secondaria, non necessaria. Nell'ottica della performance il significato non ha cittadinanza: regole, burocrazia, modelli di comportamento. Manca uno scopo. Questa assenza è coltivata e non casuale: nasce da un progetto che è insieme sintomo e causa del declino occidentale, un progetto che ha escluso la funzione critica del pensiero - la facoltà di analisi di un fatto - sostituendola con una versione distorta e utilitaristica di <i>razionalità</i>, dove di razionale non c'è nulla, se non che questo comodo riferimento consente di ridurre la logica ad un calcolo quantitativo di vantaggi e svantaggi, spese e ricavi. La presunta efficienza di questi modelli si presenta sotto le spoglie di un'esecuzione tecnica efficace: ma in nome di che cosa? In paragone a cosa? La domanda è inevasa per la semplice ragione che non esistono riferimenti perché non esiste un discorso critico che si sia sviluppato in parallelo all'uso estensivo della tecnica come modello etico/politico della società contemporanea. Sono stati scritti molti libri su questo argomento, da Heidegger a Severino. Ma il problema forse sta trovando la sua compiutezza solo ora, nell'ambito del dissolvimento della funzione critica nel cuore dell'Occidente. Quella morbo della ricerca della <i>causa prima</i> che serpeggia da sempre nella riflessione europea, trova oggi un punto d'arresto mai così definitivo. Scriveva Cartesio nelle Meditazioni metafisiche: "Che cosa dunque sono io? Una cosa che pensa. E che cos'è una cosa che pensa? E' una cosa che dubita, che concepisce, che afferma, che nega, che vuole, che non vuole, che che immagina anche, e che sente". Come dire, tutto ciò che oggi come oggi rappresenta un disvalore all'interno della società tecnocratica e che viene relegato - e forse anche demandato - alla cattiva letteratura e ai film mediocri, dove l'abbondanza di sentimento ingenuo e melenso in qualche modo riassorbe e banalizza al massimo grado tutte quelle istanze morali e psicologiche un tempo indispensabili per la ricerca del sapere (pensiamo per esempio all'ignobile fine del termine <i>romantico</i>). La performance e il relativo accumulo di denaro come modello di base dei valori occidentali - modello sganciato da qualsiasi orizzonte di senso - si presenta allora come una forma contemporanea di nichilismo: l'ottimismo del niente. Quel tipo di ottimismo che nega per principio qualsiasi riflessione sul reale imponendo un modello a senso unico: quello della felicità individuale a portata di mano. Perché la verità non è più una scoperta, ma una cosa che si può creare, se non nel concreto in quell'equivalente generale del concreto che è il digitale. E la cui dimensione si misura in realtà con il solito, vecchio equivalente generale marxiano del denaro. Per questo la "gestione della parte emozionale" è un'affermazione che rappresenta il contemporaneo: perché ne propone i valori nei termini di una manipolazione. Caratteriale, comportamentale, sociale. La correttezza di questo modo di fare non è data da un'etica ma dalla possibilità che questa azione abbia delle ricadute economiche. E' la tecnica che si determina come riferimento di se stessa: come verità autoprodotta. </span></span></div>
Ariberto Terragnihttp://www.blogger.com/profile/16445435200905819856noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7394071077640112558.post-62820960139603083802016-01-02T14:39:00.000+01:002016-01-02T14:39:13.866+01:00due chiacchiere su Guerra e Pace<div class="separator" style="clear: both; text-align: left;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjI4qndF1jTHLCFXxJvvufDn4dIcDBKYntFoA1Wjr40jsVzoWadsriZUGwRd1Jfxwe54iyQV9CiLYcLZVuNiv0T-FZ_7uNOgwKaVuUDO1HAMR2Tz8L7pdTirYETWtTM_XqkLrK5i1cXL7A/s1600/guerraepace.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjI4qndF1jTHLCFXxJvvufDn4dIcDBKYntFoA1Wjr40jsVzoWadsriZUGwRd1Jfxwe54iyQV9CiLYcLZVuNiv0T-FZ_7uNOgwKaVuUDO1HAMR2Tz8L7pdTirYETWtTM_XqkLrK5i1cXL7A/s400/guerraepace.jpg" width="252" /></a></div>
<br />
<style type="text/css">P { margin-bottom: 0.21cm; }</style>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<style type="text/css">P { margin-bottom: 0.21cm; }</style>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">Affrontato per la prima volta a
trent'anni Guerra e Pace. Pensavo di dover scalare una montagna e
invece mi sono trovato in una sconfinata pianura con un buon gruppo
di amici: principi, conti, contesse, militari, gente del popolo,
russi, francesi, tedeschi, austriaci e anche qualche italiano. La
storia più o meno è nota: periodi di pace e di guerra tra uno
scontro con Napoleone e l'altro, descrizioni minuziose di battaglie e
strategie, chiacchiere fumose nei ricchi palazzi moscoviti e in
generale il tempo che passa, qualcuno muore, qualcuno cambia,
qualcuno resta tenacemente se stesso. Ho affrontato questa lettura
con tutta la semplicità di cui dispongo, senza pretendere di andare
oltre il significato delle parole e senza mettere dei filtri tra me e
il testo. Come sempre più spesso faccio ho anche lasciato perdere
l'introduzione in un primo momento, proprio per presentarmi di fronte
alla lettura nel modo più spoglio e immacolato possibile. Non
sentivo il bisogno di adattare Tolstoj a dei preconcetti o ancora
peggio a delle teorie letterarie; ho preferito vivere il contenuto
pagina per pagina fino a scoprire che Guerra e Pace è proprio
questo: il gusto del racconto senza doppi fini. Un romanzo mostro che
quasi nessuno ha letto in epoca recente, ma che nel passato ha
accompagnato generazioni di lettori che concepivano la letteratura
ancora come una finestra sul mondo, un modo per passare il tempo, ma
ancora di più per riflettere sul tempo, sul grande mistero
codificato poi da Proust di cui Tolstoj è un precursore meno
cerebrale e più sanguigno. </span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"> </span></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiQR2lqhmwvdtRezqGdAoz8SGxVWpU4VCyfiq5jBAhS8JesrxSkomz_wuHlSwvcPkVgwEu9qZlhqw1YJvT75u2xMhc_q9vs04VK007BcSvxDNj8BsQzmExaS8qhzDdzNg5I8NvY98rBFMI/s1600/Kiprensky_Davydov.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiQR2lqhmwvdtRezqGdAoz8SGxVWpU4VCyfiq5jBAhS8JesrxSkomz_wuHlSwvcPkVgwEu9qZlhqw1YJvT75u2xMhc_q9vs04VK007BcSvxDNj8BsQzmExaS8qhzDdzNg5I8NvY98rBFMI/s400/Kiprensky_Davydov.jpg" width="286" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">Altro uovo di Colombo: per addentrarsi
in Guerra e Pace non c'è bisogno di nessun armamentario filologico,
perché questo libro è un feuilleton, un fogliettone a puntate
uscito in rivista e dato in pasto ad un pubblico borghese in grado sì
di leggere, ma di certo poco avvezzo ai ghirigori tecnici che una
certa cattiva critica novecentesca avrebbe usato per etichettare
tutto e tutti. Tolstoj è aperto, anche quando denuncia le storture e
gli opportunismi della storiografia classica: è un maestro nel
demitizzare le incrostazioni verbali che l'occidente chiama Storia.
La sua è una rivisitazione puntigliosa e scomoda, che si fa largo
tra una porzione e l'altra di narrativa pura: Tolstoj è narratore,
ma anche filosofo, storiografo, educatore, maieuta della coscienza.
Appartiene ad una generazione in cui il romanzo rappresentava ancora
una possibile summa della conoscenza: il luogo dove l'intelletto
volgarmente detto umanistico ma anche scientifico potesse trovare la
sua sintesi plastica e, perché no, divulgativa. C'era un pubblico di
lettori da informare in qualche modo. Il romanzo aveva cioè una
funzione diversa rispetto ad oggi: un'istanza civile e appunto
divulgativa che oggi fatichiamo a comprendere. Quelle che oggi in
Tolstoj chiamiamo, con un orrendo termine ginnasiale, digressioni,
erano in realtà lo spazio entro cui l'autore inquadrava gli
avvenimenti narrati in un'ottica storica e filosofica, cioè il
momento della sintesi offerta al lettore.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">Possiamo poi discutere sulle influenze
culturali di Tolstoj, e su certi aspetti della sua filosofia che oggi
possono apparire ingenui, o risultato di un accanito bricolage
filosofico tanto tenace quanto un po' naif in certi passaggi, ma
tutto questo recupera una misura comprensibile se ci rifacciamo al
contesto in cui questa comunicazione è avvenuta: il feuilleton.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">Non so quale senso possa avere oggi
rileggere Tolstoj. Se accettiamo per un attimo il vincolo
utilitaristico a cui è legata la letteratura di consumo o lo scempio
scolastico universitario che si compie a danno della letteratura,
allora no. Non ha senso leggere Tolstoj. In un mondo in salsa talent,
Guerra e Pace non ha cittadinanza. Perché è terribilmente lungo, di
genere inclassificabile, con scene torrenziali inutili ai fini della
narrazione. E poi le riflessioni dell'autore, buttate lì ogni tot
pagine a rallentare un ritmo già parecchio rilassato. Se ci
liberiamo di queste scorie allora possiamo provare a considerare
questo libro come un amico: un po' démodé e teneramente dissennato
ma capace di fascini radicati e nascosti, gesti di dinamica e ampia
generosità che ci lasceranno stupefatti. E' un libro che tiene
compagnia. Un dialogo attraverso i secoli e mi permetto di dire tra
gentiluomini. Una scampagnata a cavallo, sciabola in pugno, a
ritrovare le origini del contemporaneo e allo stesso tempo gli ultimi
fuochi di una civiltà ormai scomparsa.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><br /></span></span>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
</span></span></div>
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</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
Ariberto Terragnihttp://www.blogger.com/profile/16445435200905819856noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7394071077640112558.post-69394857708939225792015-12-10T14:31:00.000+01:002015-12-10T14:31:00.159+01:00Frank Schirrmacher, orrori da un presente distorto<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhToUObB32E5xFC0vbLvJ0T1Jaedt43SHikB17fFOpU8n9gBfWkuZSO9IFSI61QclFv1vXLhh81UUURXjHJZyqKHqjXfam_NxMJIompReOTS2q2DY-j5sSKwylrMf9vqNBGefTgjJ6vE0o/s1600/Schirrmacher_RGB.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhToUObB32E5xFC0vbLvJ0T1Jaedt43SHikB17fFOpU8n9gBfWkuZSO9IFSI61QclFv1vXLhh81UUURXjHJZyqKHqjXfam_NxMJIompReOTS2q2DY-j5sSKwylrMf9vqNBGefTgjJ6vE0o/s400/Schirrmacher_RGB.jpg" width="270" /></a><i><span style="font-size: large;">Moralmente, in un mondo contro il quale non è possibile alcuna obiezione, ognuno deve cercare la "colpa" in se stesso. E' questo il nucleo della nuova ideologia ed è questa l'essenza della società del tipo the winner takes it all: ognuno può essere tutto. Diventare una star di YouTube, una scrittrice di bestseller come Cinquanta sfumature di grigio, una star da milioni con una buona trovata o un video, fare soldi e comperare case ipotecando quello che non si possiede ecc. Solo quando tutti ci credono e sono disposti a sgombrare il campo senza accusare nessun altro oltre se stesso e la sfortuna, può davver cominciare il grande giro di poker. </span></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><span style="font-size: large;"><br /></span></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><span style="font-size: large;">Si è solo ciò che si fa, si fa solo ciò per cui c'è un mercato e c'è solo un mercato per ciò per cui si viene pagati: è il mantra della nuova identità.</span></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><span style="font-size: large;"><br /></span></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><span style="font-size: large;">L'"apprendimento per tutta la vita" è stato per secoli una banalità, prima di essere reinterpretato da Wall Street, e ora significa "adattarsi in qualsiasi momento a nuove condizioni dei mercati". Economia del sapere, società dell'informazione e dei servizi, Io spa, iniziative di eccellenza sono concetti inflazionati e vaghi, di cui oggi vengono nutriti i nostri pensieri con un fine ben preciso. </span></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Frank Schirrmacher, Ego. Gli inganni del capitalismo.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Brevi stralci da un saggio denso e importante di Frank Schirrmacher, intellettuale tedesco scomparso prematuramente l'anno scorso. Un saggio per immagini e suggestive reinterpretazioni storiche, con accostamenti e paragoni spesso spiazzanti. Dall'introduzione dell'automa nelle corti d'Europa nel Settecento all'egemonia culturale dei social brand a base algoritmica: tutto concorre all'annientamento dell'uomo. Anzi, meglio: alla sostituzione dell'uomo con un suo avatar: Numero 2, l'iperefficiente, interessato, razionale, egotico doppio che vive in ciascuno di noi, foraggiato dall'applicazione seriale di social media fondati su modelli matematici la cui formula base è esaltare l'egotismo di ognuno. Un processo non tanto cinico, quanto perfettamente razionale. L'avidità è prevedibile e calcolabile, insomma risponde ad una logica. Tanto vale che l'umanità si adegui a questo. Schirrmacher osa: si tratta di una strategia studiata a tavolino, visto che è molto più comodo piegare l'uomo al modello che inventarsi un modello che spieghi l'uomo. Un'inversione che racconta la paurosa vicenda di questi ultimi anni, quando questo processo di meccanicizzazione ha raggiunto il parossismo e la società occidentale si è ritrovata inghiottita in una crisi economica e morale senza precedenti, senza spiegazioni convincenti e soprattutto senza alcuno strumento culturale adatto. Le colpe sono diventate appannaggio del singolo: pensa per te, che al resto ci pensiamo noi. Un "noi" macchinale e distopico degno di una visione di Philip K. Dick, non a caso citato dall'autore come sorta di veggente del contemporaneo. Sono tanti i nodi analizzati dallo scrittore tedesco, e tutti nevralgici. C'è molta filosofia non detta, dall'Hegel della morale degli schiavi al nichilismo occidentale di Heidegger: la schiavitù come modello di massima flessibilità condiviso e difeso dagli stessi schiavi, che con essa difendono il pezzo di pane dato loro dal padrone (e in questa umiliazione ormai accettata si misura tutta la disfatta dell'Occidente), e il nichilismo come convitato di pietra, come modello oscuro che ispira un complesso sociale ed economico votato, si può ormai dirlo, al nulla più assoluto. Consumo come ragione di esistenza, lavoro come ragione di consumo: Marx è polverizzato da un corso degli eventi andato tanto più in là del Capitale classicamente inteso. Parole d'ordine, invenzioni di marketing spacciate per filosofia platonica, suicidi economici raccontati come buonsenso: nel marasma del relativo e dell'immateriale tutto diventa possibile, anche che la gente ci creda davvero. Di essere responsabile dei mutamenti macroeconimici, che la crisi economica non abbia cause, che le istituzioni scolastiche, politiche e informative siano le colonne portanti di un progresso disinteressato. E' radicale Schirrmacher, ma nell'acutezza di certi passaggi fa quasi venire i brividi, perché sta parlando di noi e dei nostri anni, vissuti con tanta leggerezza tra una serie tv e una fotografia su un social network, ignari che i nostri dati sono tracciati secondo per secondo e che la nostra vita è disponibile al migliore offerente per piazzare prodotti o creare bisogni che non abbiamo. Ma anche per assumere o licenziare dipendenti, emarginare le voci dissonanti e proporre agli elettori i candidati più graditi. E' un gioco, anzi, è la Teoria dei giochi: questo teorema socio-matematico che ci sottrae tempi e spazi di identità e di scelta. Con il nostro consenso disinformato o inconsapevole. Una rete in cui siamo tutti intrappolati secondo la sinistra eppure straordinariamente verosimile teoria di Schirrmacher. Tracciati, analizzati e incasellati da qualche parte, nella più totale illusione di libertà. Anche io che sto scrivendo, anche tu che stai leggendo. </span></div>
Ariberto Terragnihttp://www.blogger.com/profile/16445435200905819856noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7394071077640112558.post-36026646344054724142015-12-06T14:26:00.001+01:002015-12-06T14:26:14.465+01:00la filologia come responsabilità<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">E' cominciato con la Russia, è proseguito con India, Cina, Stati Uniti, Grecia, Cipro, Gran Bretagna, Germania, Turchia, Serbia, Belgio, Olanda e forse dimentico qualche paese. Questo mestiere di magister vagans dell'italiano mi ha portato a contatto con svariate nazionalità e lingue, realtà a volte complesse, con sfumature extralinguistiche di non immediata comprensione per me nonostante a certi livelli professionali la globalizzazione dei comportamenti abbia indubbiamente appianato tante differenze. Oltre ad una responsabilità abbastanza pressante che avverto in quanto rappresentante dell'italianità - delle sue meraviglie e mio malgrado delle sue parecchie storture - un'altra riflessione che mi viene da fare riguarda l'aspetto più connaturato all'insegnamento: la sua funzione comunicativa. In senso storico trasmettere una lingua e con essa una ingente fetta di civiltà significa prima di tutto fare delle scoperte personali: getto la maschera: sono sicuramente più le cose che ho imparato delle poche e povere cose che ho potuto insegnare. Ho imparato dalle persone con cui sono entrato in contatto, che mi hanno raccontato il loro mondo e le loro radici, e ho imparato alcuni elementi della natura profonda del linguaggio. Aveva ragione Foucault: ogni lingua reca impressa la storia di un popolo. Dice delle sue migrazioni e delle sue traversie, della sua lotta per sopravvivere e della casualità del fato. Dice di una struttura primitiva che rimanda alla notte dei tempi, ad una pangea del linguaggio a cui tutti dobbiamo in qualche modo richiamarci: segni, fonemi e graffiti ancestrali che accomunano la razza umana nel suo istinto di raccontarsi. Penso che questa consapevolezza sia uno dei principali insegnamenti che ho ricevuto in questa esperienza: un dono non quantificabile e non inseribile in un curriculum ma che ha avuto su di me un valore fomativo e ha contribuito non poco a togliermi di dosso alcune patine prinvinciali e alcuni pregiudizi. E' un dono che però comporta anche delle responsabilità. In primo luogo un'attenzione ulteriore al linguaggio e alle sue dinamiche, in secondo luogo la necessità di offrire un lavoro sempre più accurato e corretto, che tenga conto sia della comunicazione più immediata sia, per quanto possibile, della motivazione che sta a monte di certe differenze e di certe analogie. Non so se tutto questo sia catalogabile come "filologia", ma so che posso chiamare solo così il rapporto tra la scoperta del segno e la ricaduta che questo segno ha sulla nostra vita quotidiana, specie quando questa è incontro nella diversità e nella diversità diventa luogo di crescita. </span></span></div>
Ariberto Terragnihttp://www.blogger.com/profile/16445435200905819856noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7394071077640112558.post-32521079097150653512015-11-30T22:09:00.001+01:002015-11-30T22:10:45.374+01:00ipotesi per un saggio<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: large;">Ricomincio a scrivere in modo pubblico perché vorrei provare a ragionare ad alta voce su un argomento che vado sviluppando da circa quattro mesi in un quaderno rosso a spirale: il luogo comune. Prendo appunti, note di lettura, riflessioni personali. Che cos'è il luogo comune? La meta di un viaggio o la zona grigia in cui abita la distrazione? Finora ho trovato più domande che risposte. Risposte zero per la precisione, o forse mezza: sotto al fogliame della banalità si nasconde sempre una forma occulta di Potere. No, niente teorie della paranoia. Il Potere è quello che serviamo tutti i giorni, anche quando siamo convinti di fare quello che ci pare: sono le informazioni che vengono colate goccia a goccia nelle nostre vene con l'intento di renderci brave persone. Famiglia, Scuola, Istituzione. C'è una catena di montaggio della banalità che ha connotati formativi. Il buonsenso comune che sostituisce il ragionamento critico e surroga la capacità di discernere è la materia trascersale della formazione di Stato o se si vuole il cemento stesso di ogni patto sociale. Da qui, forse la natura ambigua del Banale. Non solo sconcerto filosofico di fronte al male che si incarna in una pratica impiegatizia, ma Male che diventa Bene perché così fan tutti; Male che diventa Bene perché "così si dice" e "così si fa". Quanto sia necessaria questa banalità affinché il concetto stesso di Società sia possibile è una delle domande inquietanti che agitano il percorso di questo libro non libro che ancora non ha preso forma. Ci sono degli elementi cardine attorno a cui ho sviluppato delle piccole ossessioni personali; sono parole calde, mantra, correlativi oggettivi che si annodano nelle ipotesi che passo al setaccio: Conformismo, Massa, Opinione. C'è un filo rosso che lega la possibilità di dire la propria con le parole a vanvera e la sindrome del gregge con la relatività di ogni Legge. Assiomi sacri sessant'anni fa che oggi sono il Male Assoluto, fondamenti sociali che oggi non contano più niente. Il tutto fuso nella retorica che ogni Stato impone alla massa come nucleo fondante di ogni realtà. Dalla cultura orale del periodo mimetico/poetico alla retorica della Famiglia: due estremi che a migliaia di anni di distanza pongono la verità costitutiva della vita nel culto della tradizione. E tutto questo senza una vera ragione per scrivere e senza un pubblico, ma anche senza un interruttore che possa interrompere questo ammasso di congetture. </span></span></div>
Ariberto Terragnihttp://www.blogger.com/profile/16445435200905819856noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7394071077640112558.post-40274681752796502112014-04-17T23:27:00.001+02:002014-04-17T23:27:14.096+02:00in morte di Gabriel García Márquez<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjYaEPS0qvZwaIK0jmxz1x-T-n8loCouQMD00uy8OoC9DuF9NnVwPNXEE6BRt6Y19Yt-HYZSG8Rm3ixgfk-XLuJAg68nLswyNNY7p4jkNQtsjsaUrUDSupO_YFjggHYKmrERax5KCY5G9M/s1600/Garcia+Marquez1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjYaEPS0qvZwaIK0jmxz1x-T-n8loCouQMD00uy8OoC9DuF9NnVwPNXEE6BRt6Y19Yt-HYZSG8Rm3ixgfk-XLuJAg68nLswyNNY7p4jkNQtsjsaUrUDSupO_YFjggHYKmrERax5KCY5G9M/s1600/Garcia+Marquez1.jpg" height="397" width="400" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Muore Gabriel Garcia Marquez. Muore dopo un lungo periodo di fragilità e malattia. Il baffo, il sigaro, il piglio da Zapata gentile, e quel sentore di Latinoamerica aromatico come foglie di tabacco. Lo stile affollato, convulso che poi per le glorie della critica venne reclutato nelle fila del realismo magico era in realtà la materia di un modo di essere, una forma espressiva, che per un artista ha lo stesso valore del codice fiscale per un bravo compilatore di dichiarazioni di reddito. Per pochi altri scrittori lo stile è coinciso con la sostanza nello stesso modo tenero e barbarico con cui Gabo ha voluto raccontarsi. E allora la saga dei Cent'anni di solitudine, con il repertorio familiare dei Buendia, il decrepito decadimento del Patriarca nelle note dolciastre e stilisticamente imponenti dell'Autunno. Più racconti, reportage, osservazioni ai quattro angoli del mondo. Era uno scrittore nato con il giornalismo, ossia con curiosità e voglia di capire, ma con un fondo, un segreto ritmico della parola che andava crescendo in lui come le volute di una cattedrale gotica: la forma della parola nella sua veste più ricca di ridondanze e segni, di accenni e coloriture. E' stato un grande scrittore perché non si è limitato a imprimere il mondo come una carta carbone, ma da artista ha saputo ricreare un universo tutto suo, con i difetti e gli eroismi che servono a tenere in equilibrio tutti gli ecosistemi, anche quelli letterari. Chi lo ricorda solo per il Nobel commette un errore grossolano. Lo stesso Marquez divideva gli amici in due categorie: quelli conosciuti prima del Nobel e quelli conosciuti dopo. Non ci vuole molto a capire perché. Un grande scrittore? Sì. Un grande scrittore. Uno che rientra nel novero fatale che a torto o a ragione sopravviverà alla polvere del tempo per essere consegnato agli annali della letteratura come uno dei massimi del Novecento, e per ragioni che sono contigue e allo stesso tempo vanno al di là delle pompe accademiche che non tarderanno a palesarsi. Il ricordo di Gabo si inscrive nella memoria per la sua capacità di averci accompagnato, con saggezza, furberia, intelligenza, approssimazione, nel percorso di lettura di tutto un secolo e di molto altro tempo a venire: la sua arte è un testamento umano. E' umana. Non è un prodotto editoriale, e non è nemmeno un calcolo accademico. E' scrittura fatta per essere letta, e prima ancora materia umana che aveva bisogno di essere scritta. Il senso del suo insegnamento, se fosse solo questo, potrebbe già essere abbastanza. Il fatto che poi Marquez fosse un narratore di razza ha fatto il resto. Controverso, a volte ai limiti del comunicativo, ma sempre personale: con uno stile solo suo. Con molti e disgraziati emuli, ma con pochi eguali. In definitiva mancherà. Perché era libero. </span></div>
Ariberto Terragnihttp://www.blogger.com/profile/16445435200905819856noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7394071077640112558.post-3681643948161772742013-09-19T23:15:00.003+02:002013-09-19T23:24:28.718+02:00io non credo nei guerrieri<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Non partirei dal brillante laureato che ha sfondato in qualche università inglese o americana (capisco l'America, ma la Gran Bretagna è un ex impero che traccheggia quanto o peggio di noi); non parlerei del coraggioso imprenditore del nord est; non metterei in sequenza i primi piani di un impiegato, di un fuochista ottuagenario, di una in impermeabile giallo sulla metropolitana, di un travet in coda sulla tangenziale dicendo che sono guerrieri (al massimo schiavi come me e come tutti, ma chiamiamo le cose con il loro nome). Non girerei nemmeno un corto dove il solido padre di famiglia fa gli straordinari per godersi la laurea del pargolo, perché mi fa venire in mente Flaiano quando diceva che il vero ignorante è quello che si consola pensando che tanto studierà il figlio. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Non lo farò perché non ho mezzi di alcun genere per farlo, ma se fosse possibile raccontare l'Italia di oggi, se fosse possibile farlo senza retorica, senza auto elogi o auto denigrazioni, partirei dagli uomini che sono rimasti impigliati tra le reti. I falliti, i vinti, gli sconfitti. Non gli invisibili della retorica populista Mediaset, ma la schiera interminabile dei Mario Rossi in bancarotta esistenziale. Gente che non ce l'ha fatta, che si è arresa. Gente che ha perso e non si è rialzata. Gente sopravvissuta a se stessa. Gente che non ha smesso quando ha voluto. Gente che è andata a sbrendolo insieme a un paese intero, a una cultura intera. Non so se il paragone con i vinti di Verga sia adatto, ciascuno giudichi come vuole. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Forse il paragone più giusto è un altro: il ragionier Fantozzi. Specie in quella sua frase drammatica e vera insieme: </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">« ...Io, Pina, ho una caratteristica: loro non lo sanno, ma io sono indistruttibile, e sai perché? Perché sono il più grande "perditore" di tutti i tempi. Ho perso sempre tutto: due guerre mondiali, un impero coloniale, otto - dico otto! - campionati mondiali di calcio consecutivi, capacità d'acquisto della lira, fiducia in chi mi governa... e la testa, per un mostro e per una donna come te. »</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Veramente, non crediamo alla retorica del guerriero, perché se continuiamo a raccontarci di mitici recuperi e di grandi rimonte, se continuiamo cioè ad appoggiarci ad una simbologia calvinista che non è nostra, non andremo da nessuna parte. E' il ragioner Ugo il nostro referente. Quello con la targhetta Fantozzi rag. Ugo, anche se oggi il ragioniere è stato sostituito da una triennale in marketing. Il racconto non potrebbe che partire da Ugo, non dai guerrieri sulla tangenziale di qualche squallida pubblicità. Non dalla volgare felicità americaneggiante che con noi c'entra meno di niente. Se c'è un dato comune tra Classicità e Cristianesimo sta proprio nella sostanziale inesistenza del termine felicità, perché non è quella la partita. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">La partita è lì, nel momento della perdita. Gli uomini impigliati tra le reti. Quelli che perdono, di cui nessuno si occupa. Quelli che non hanno grande talento, che non hanno grandi idee, che non erano brillanti a scuola. Che non vogliono fare in cantanti, che non sono ricercatori in fuga all'estero, che non saprebbero nemmeno come fare per andarsene da questo paese. Che hanno smesso da un pezzo di credere alla paccottiglia dei sogni nel cassetto e a tutto questo ciarpame televisivo che ha inquinato le menti più insospettabili. Gli uomini impigliati nelle reti come l'ossatura della società, che se non recuperiamo in qualche modo, magari anche solo certificandone l'esistenza e la dignità, si sgretolerà come terracotta. Perso il senso di comunità, e quindi di società non restano che tanti esseri impauriti che si raccontano di essere guerrieri. Ma non è così, e questo spavento senza fine si annida come un tarlo nei retropensieri di quasi tutti gli esseri pensanti. Fu la tanto magnificata Margaret Thatcher a rivelare al mondo intero che per la politica conservatrice (che domina il mondo da decenni) "Una cosa come la società non esiste". Quindi la retorica del guerriero, la fraseologia bellica, lo slogan aziendale, hanno una precisa origine: il conservatorismo politico. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Scrive Zygmunt Bauman: "I politici di ogni colore dicono chiaro e tondo che, data la forte richiesta di competitività, efficienza e flessibilità, non possiamo più permetterci reti di sicurezza collettive". </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Lo sfracello collettivo non è stato causato dagli uomini feriti, ma dai combattenti da pic nic, e da tutta la schiera di uomini senza mente che hanno pensato bene di credere alla pubblicità. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Quindi Fantozzi. Per capire, per capirci. Fantozzi con i suoi "Servili auguri per un distinto Natale e uno spettabile anno nuovo", Fantozzi con l'elegante visiera verde con la scritta Casinò Municipale di Saint Vincent. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Ecco, se mai dovessi girare questo documentario partirei proprio da chi ha rischiato e ha perso tutto. Da chi non ha rischiato e ha perso comunque. Ma senza finali rocamboleschi: la gente di solito perde in silenzio, qualche volta nemmeno se ne accorge, perché non è un tiro a freccette. Perdi, e non lo sai, o se lo sai non sai il perché. Sei al palo, e basta. Non puoi appellarti a nulla, nemmeno al fatto che in questo paese non c'è meritocrazia, perché tu non meriti niente. Sei caduto e non ti sei rialzato. La fortuna non ti ha aiutato perché non sei stato audace. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Ma senza il ricircolo di tutte le forze, anche di quelle a perdere che ripeto sono la maggioranza, non ci sarà possibilità di dignità. Non parliamo più di ricchezza o di benessere, parliamo di dignità. Non parliamo nemmeno di solidarietà, che è solo carità e coscienza sedata, parliamo di comunità. Parliamone prima che sia troppo tardi.</span></div>
Ariberto Terragnihttp://www.blogger.com/profile/16445435200905819856noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7394071077640112558.post-23854796161449314442013-07-19T20:15:00.001+02:002013-07-19T20:15:16.253+02:00stop<div style="text-align: center;">
<span style="font-size: x-large;">IL BLOG E' CHIUSO FINO A DATA INDEFINITA.</span></div>
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<span style="font-size: x-large;"><br /></span></div>
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<span style="font-size: x-large;">GRAZIE.</span></div>
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<span style="font-size: x-large;"><br /></span></div>
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<span style="font-size: x-large;">A.T. </span></div>
Ariberto Terragnihttp://www.blogger.com/profile/16445435200905819856noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7394071077640112558.post-26861873987734922292013-06-20T11:23:00.001+02:002013-06-20T11:23:21.874+02:00un uomo chiamato Blatter<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh7hwmQ8dmNssYYUsPIIIK2VdaByuWAOonOlgA6pYnpP34qzinkelexb0lGlYkieRbOssshEoQ06Lq6vhFPpSJzoot9qI-EU68yGNWTc7h8i2nfjzrC4QcUxmKu5SOBrzjZ4Wa0MGsHEgk/s1600/blatter2.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="192" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh7hwmQ8dmNssYYUsPIIIK2VdaByuWAOonOlgA6pYnpP34qzinkelexb0lGlYkieRbOssshEoQ06Lq6vhFPpSJzoot9qI-EU68yGNWTc7h8i2nfjzrC4QcUxmKu5SOBrzjZ4Wa0MGsHEgk/s320/blatter2.jpg" width="320" /></a><span style="font-size: large;">Secondo l'indefinibile Blatter, il calcio viene prima. Prima della povertà, prima di un popolo in lotta contro lo spreco di denaro pubblico. Prima, insomma, della realtà. E il bello è che nelle parole del vecchio padre padrone del calcio mondiale non c'è nessun tentativo di paradosso, nessuna provocazione: è davvero il suo pensiero. Il pensiero di uno dei tanti privilegiati eletti da nessuno aggrappati con i denti alla poltrona che ormai non hanno più nessun titolo per occupare. Un pensiero che nella senilità ormai avanzata lascia intravedere, come spesso accade, un infantilismo di ritorno, ma nell'istantanea deforme e indecente di una parodia. E allora la frase folle e bellamente irresponsabile di un anziano potente serve anche a gettare una luce sulla fitta trama di poteri che si intrecciano e si sostengono a vicenda nelle varie politiche mondiali. Economia, finanza, industria, ma anche calcio a quanto pare, che sotto la sua veste puerile e innocua nasconde la sintesi perfetta di tutte e tre le cose: economia, finanza, industria. Il calcio, e in senso lato lo sport se pensiamo al grande baraccone olimpico, rappresenta una delle grosse pedine dello scacchiere politico/affaristico di questo scorcio di epoca: un veicolo dal volto friendly che serve per fare altro. Blatter con i suoi modi disinvolti e la sua certezza di impunità, non fa che esercitare un potere, e lo fa nell'unico modo in cui il potere sa manifestarsi: in modo arrogante e anarchico. Ora si dice che Blatter, al pari degli altri vertici del calcio mondiale, sia fuori dal mondo, fuori dalla realtà, fatto probabilmente vero. Ma l'anziano manager non è certo più fuori dal mondo di tutti i papaveri dello sport che giusto un annetto fa si facevano promotori della candidatura italiana alle Olimpiadi, candidatura poi fortunatamente cassata dal governo Monti, che di fatto ha scongiurato un bagno di sangue finanziario e un grasso banchetto per la speculazione malavitosa. Essere fuori dal mondo è un privilegio di chi il mondo non è costretto a frequentarlo, di chi può permettersi di fare finta che la miseria e le diseguaglianze sociali esistano solo nelle raccolte fondi e nella carità organizzata. Di quella ristretta percentuale che può ancora contare su una liquidità spropositata anche in tempi di sprofondo come questi. Una ristretta percentuale che può permettersi di tenere in piedi un circo abnorme finanziandolo con quei soldi che tutti ci stavamo domandando dove fossero finiti.</span></div>
Ariberto Terragnihttp://www.blogger.com/profile/16445435200905819856noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7394071077640112558.post-17192301704045897652013-06-11T13:32:00.000+02:002013-06-11T13:32:14.770+02:00dopo il fumo<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjAFYZCPIjLX9vPKt3W7bPZAuuEuMltNe53RWoXa1BRzP36lh-4DGVNNfSKTLB9fss9qjPAgQ9uvB9qoaLahnEZi3PEM2QFkwUOFVK24PGBuqqCPTf2omGYbxojV2PIxalWeDTAFI8JQ_M/s1600/249158.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjAFYZCPIjLX9vPKt3W7bPZAuuEuMltNe53RWoXa1BRzP36lh-4DGVNNfSKTLB9fss9qjPAgQ9uvB9qoaLahnEZi3PEM2QFkwUOFVK24PGBuqqCPTf2omGYbxojV2PIxalWeDTAFI8JQ_M/s320/249158.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">C'era una volta B. Non bello, non colto, senza particolari competenze, ma grande istrione, grande improvvisatore e soprattutto grande venditore. Osannato come leader carismatico (mah...), addirittura indicato come l'iniziatore di un nuovo corso politico: quello dei partiti padronali. (Ricordo con terrore due sue amazzoni che non più tardi di tre o quattro anni fa si beavano in un talk show di come il loro capo fosse all'avanguardia in questo senso). E così, con tanto fumo, l'intrepido imprenditore è riuscito a mettersi in tasca prima la destra italiana e poi tutto il paese. Distruggendo entrambe le cose. E ora che la polverina magica è finita, ora che le bugie sono andate a sbrendolo, il fumo si dirada, e scopriamo che non c'era niente. Niente ricchezza, niente novità. Solo un cumulo di fanfaluche, e tanta insipienza, quando non qualcosa di peggio. E ora fa quasi tristezza sentire i suoi lamentarsi - con non si capisce bene chi - che i voti li prendeva solo lui, B, e che questo spiega la disfatta del voto amministrativo. Pare a tratti che la destra italiana sia sul punto di riconoscere lo sbaraglio, ma è un'impressione fugace prima del solito arroccamento: servirebbe onestà intellettuale. Ma ormai i circolo vizioso è una trappola da cui questa destra non potrà più uscire, a meno di non riscriversi culturalmente e di buttare a mare tutte, ma proprio tutte, le scemenze di questi ultimi vent'anni. Dopo anni di scorciatoie, di miracoli e di altra fuffa variamente declinata, forse sarebbe ora di prendere il coraggio a due mani e cominciare da un semplice vocabolo: scusateci. Per poi ripartire da due o tre libri seri che non siano il prontuario Fininvest o altre carte protocollate dalle scuole televisive. Questa destra scoprirebbe che i partiti, anche di destra, non sono un affare personale, e che la politica non è la vinavil con cui il padrone incolla i cocci della sua disastrata esistenza. Ma bisognerà fare un po' di cose prima, e tutte agli antipodi della mentalità berlusconiana: farsi un po' di cultura, mettersi intorno a un tavolo a sviluppare delle idee serie e non i soliti slogan. Ma temo che il massimo che verrà fuori da questa attuale classe dirigente sarà il cambio del nome del partito. E l'hanno pure già fatto una volta. </span></div>
Ariberto Terragnihttp://www.blogger.com/profile/16445435200905819856noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7394071077640112558.post-11312949912446005232013-06-01T19:17:00.002+02:002013-06-01T19:20:34.168+02:00Voto Arjen Robben<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjD1njbaGlEQ0fcG5kmoGSbCyl3Ieh5WjbXsTfb_Qd8JUkq-Pgqp36qJYoxeJOFQEsxLhxecuF05RYobVIiumCfMU1dJSF5dgKRQRN_TaVNVlQEmlqu-OdU2y0mMFhAe97J7f7u9edI5GA/s1600/robben-bayern-monaco-770x601.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="497" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjD1njbaGlEQ0fcG5kmoGSbCyl3Ieh5WjbXsTfb_Qd8JUkq-Pgqp36qJYoxeJOFQEsxLhxecuF05RYobVIiumCfMU1dJSF5dgKRQRN_TaVNVlQEmlqu-OdU2y0mMFhAe97J7f7u9edI5GA/s640/robben-bayern-monaco-770x601.jpg" width="640" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Voto Robben perché non ha una triste storia alle spalle, e se ce l'ha non è andato a raccontarla a Roberto Saviano.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Voto Robben perché ha il fisico da calciatore, non da cavallo da monta. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Voto Robben perché non è ambidestro.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Voto Robben perché non ha la media di un goal a partita.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Voto Robben perché non gioca in un campionato dove il capocannoniere segna 50 reti (e ditemi voi quanto può valere un campionato così).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Voto Robben perché non è un "I belong to Jesus". </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Voto Robben perché sa cosa significa perdere.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Voto Robben perché nonostante tutto lo massacrano di fischi.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Voto Robben perché non ama le cose semplici.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Voto Robben perché non lo candidano al Nobel per la pace. Nemmeno per provocazione.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Voto Robben perché ha un'onesta chierica.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Voto Robben perché non ha tatuaggi.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Voto Robben perché non fa la pubblicità dei Pavesini.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Voto Robben perché corre a 32 km/h senza tante scene.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Voto Robben perché quando segna non si toglie la maglia per far vedere gli addominali.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Voto Robben perché non scommette.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Voto Robben perché non si tira i calzettoni sopra alle ginocchia.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Voto Robben perché non piace ai giornalisti.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Voto Robben perché non convoca conferenze stampa. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Voto Robben perché non è "l'erede di Maradona". </span><br />
<span style="font-size: large;">Voto Robben perché non gioca a fare l'"esempio" in un mondo che è pieno di esempi edificanti e dove tuttavia va tutto alla malora.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Voto Robben perché in finale di Champion's ha segnato un goal così raffinato e così difficile che quasi nessuno l'ha capito.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Voto Robben perché li mette sempre nel sacco con la stessa finta, il che significa che non è mai la stessa finta. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Voto Robben perché guardate la foto sopra. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
Ariberto Terragnihttp://www.blogger.com/profile/16445435200905819856noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7394071077640112558.post-82279133312806502692013-05-30T12:49:00.002+02:002013-05-30T14:34:46.810+02:00operazione anestesia<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgm3zezLLIDEFzHf-p7aV154pAccVwiO3djcs-jrNxheJO_Tmv9gkiRXRwbE-trg97VpK2xkghyphenhyphenyHh35JvgG2pv9OC_kaZeb7Au0l1Ed6BtzMO-GOPrsQU_Z9v9_rxN9xDDbffpXUk-80s/s1600/il-sonno_lucia.gif.jpeg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="232" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgm3zezLLIDEFzHf-p7aV154pAccVwiO3djcs-jrNxheJO_Tmv9gkiRXRwbE-trg97VpK2xkghyphenhyphenyHh35JvgG2pv9OC_kaZeb7Au0l1Ed6BtzMO-GOPrsQU_Z9v9_rxN9xDDbffpXUk-80s/s320/il-sonno_lucia.gif.jpeg" width="320" /></a><span style="font-size: large;">L'operazione anestesia promossa da uno dei governi più improbabili della storia della Repubblica procede alla grande. Il lento ricomporsi della politica nella formazione plumbea che oggi abbiamo al comando ha finora ottenuto un unico risultato: quello di allontanare gli elettori. Non più soltanto per schifo, ma proprio per sfinimento. Il grande compromesso che ha tolto qualsiasi significato al voto del cittadino ha rappresentato qualcosa di più di una promessa disattesa. E' stata un'azione ipocrita, ma in perfetta linea con una concezione statale che ha sempre vissuto il potere come la gestione sparagnina e clientelare dell'interesse pubblico, la politica del manuale Cencelli, il solito gattopardesco "che tutto cambi perché nulla cambi". E così, con un po' di tempo e di pazienza, e soprattutto con la fidata scorta di larga parte dei media, si può accomodare tutto, anche l'incongruo: l'abbraccio mortale del Pd con il Pdl, lo scandalo dei voti di centrosinistra dirottati verso la destra più invisa, e il contemporaneo sdoganamento dell'uomo che più ha fatto per logorare le fondamenta della Repubblica. Tutto digerito, tutto metabolizzato. E pazienza se il governo in carica è strutturalmente impossibilitato a fare alcunché di incisivo, in quanto nato sotto lo scacco di forze uguali ed opposte. Intanto, ripeto, il primo risultato importante l'ha già ottenuto: quello di annacquare quel poco di fermento che andava agitandosi nella società civile. Un piccolo refolo di indignazione, di risveglio delle coscienze che rischiava di turbare i sonni dei grandi manovratori, artefici massimi di quel patto non scritto e non detto che vuole sempre una specie di bilanciamento permanente delle parti. Ed è un peccato, perché l'elettorato del Pd che non è così, ma è in genere meglio dei suoi rappresentanti, di sicuro una cosa ce l'aveva ben chiara: sapeva che cosa non voleva, il frutto avvelenato che puntualmente i suoi teorici rappresentanti eletti hanno realizzato, e nella maniera peggiore, con un colpo di mano. Il calo di affluenza alle urne è fisiologico: dopo quanto accaduto alle politiche, è chiaro che il voto è manipolabile. Insomma: votare non è una cosa seria. Sono le stesse massime cariche elette a dircelo. </span></div>
Ariberto Terragnihttp://www.blogger.com/profile/16445435200905819856noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7394071077640112558.post-54844887814177313002013-05-16T11:37:00.001+02:002013-05-16T11:41:29.061+02:00stasera paga lui<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEidFFJbFAesO37fdWL74n4kWZbduaJ_oXhCnz5wKlr8iXz9X6jGyzCjwSfq9sRa2EGavkyLb4OWR5sbq8pN1fkQU2yL8TZhEK6QyKEbmI951hHCbVK29OXpBC_4VhF_oqL4uSBtU8T8HPk/s1600/Henri_de_Toulouse-Lautrec_012.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="333" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEidFFJbFAesO37fdWL74n4kWZbduaJ_oXhCnz5wKlr8iXz9X6jGyzCjwSfq9sRa2EGavkyLb4OWR5sbq8pN1fkQU2yL8TZhEK6QyKEbmI951hHCbVK29OXpBC_4VhF_oqL4uSBtU8T8HPk/s400/Henri_de_Toulouse-Lautrec_012.jpg" width="400" /></a></div>
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<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
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<span style="font-size: large;">C'è una trama parallela dietro l'abbagliante squallore delle così dette cene eleganti. Al di là delle implicazioni giudiziarie. Ed è un insopportabile sentore di frivolo, di canzonetta scacciapensieri più che di orgia trimalcionesca. Perché se il problema giudiziario è stabilire il confine tra lecito e illecito sessuale, la questione politica, morale e civile è di altro grado, ed è capire se oggi l'Italia ha abbastanza rispetto di se stessa da non accettare più gli umori padronali di un monarca assoluto. Non parlo solo di Berlusconi e della sua corte, ma di qualsiasi Padrone con qualsiasi codazzo di dignitari. Lo dico subito, secondo me la risposta è no. Una maggioranza relativa molto rumorosa ha decretato che le cose vanno bene così. E che oggi, in Italia, la rappresentazione del potere nella sua veste più volgare e scadente è perfettamente possibile e sopportabile, perché in costante sintonia con i sogni, le aspirazioni e in generale l'umore di gran parte del paese. L'uomo ricco e potente di stampo rinascimentale (ma non solo, anche in anni più recenti) oltre agli stravizi, era solito coltivare la frequentazione di scienziati, artisti, intellettuali. Erano occasioni di incontro che avevano ricadute sulle scelte politiche e in generale sulla vita dei cittadini. Il denaro e il potere cioè avevano uno scopo che andava oltre il denaro e il potere stessi. La vera rivoluzione berlusconiana sta proprio nell'aver inteso il denaro come qualcosa che in fondo non porta a nulla, se non alla conservazione pura e semplice del vizio come categoria esistenziale. Per paradosso, i soldi di Berlusconi non servono a niente. Le sue aziende, nel momento stesso in cui la stampella della politica scricchiola, sono sempre sul punto di dissolversi. Le scelte politiche della sua amministrazione, a guardare con distacco, sono sempre state puerili, insufficienti, o apertamente ridicole. Lo spessore, se così si può dire, se lo sono costruito attraverso la reiterazione del messaggio a mezzo televisivo, sia diretto (con le reti di proprietà), sia indiretto, con la dialettica tautologica delle tribune politiche. E se per un attimo si prova a intravedere un nesso tra la cena elegante e la politica che le fa da corrispettivo, si getterà lo sguardo su un puro vuoto che in definitiva non chiede altro che spazio; un vuoto coerente, che da trent'anni non fa che ripetere le stesse identiche cose: poche, semplici parole d'ordine che hanno avuto come unica missione quella di rimuovere la realtà sostituendola con la sua parodia. E la cena elegante, persino nella sua versione annacquata e bonaria, si presenta come la sintetica, plastica rappresentazione di questo allucinante sistema di potere. </span></div>
Ariberto Terragnihttp://www.blogger.com/profile/16445435200905819856noreply@blogger.com0