librerie


Va bene la difficoltà della pubblicazione, sacra difficoltà formativa appannaggio di noi Holden più o meno attempati. Va bene che ci vuole confronto col mercato per cui via con ogni genere di sottoprodotto sottoculturale di cui si pretende di difendere la presunta dignità. Romanzetti adolescenziali, scarabocchi di qualche editor impenitente che accompagna cantanti e stelline nel meraviglioso mondo delle librerie. Tutti i libri patinati con il nome dello squinternato che li presenta, e sotto, quattro o cinque caratteri più piccolo, il nome del Virgilio ducens: Pinco Palla, con Tizio Cajo... Ma queste sono turbe, va bene. Solo che qualche cosa non funziona se di fianco a James Joyce, per una beffa crudele dell'ordine alfabetico, non comparisse Jovanotti con il suo Il grande boh. I fan insorgano, si straccino le vesti: "E' bbravvisssimo, non capisscci un catthho." "Anima, anima, anima, sentimento...... il mio cuore......... mi sbrodolo d'immenso....... Dedicato al mio amore........ cucciola....................". I puntini di sospensione in una grafia standard sono tre, e comunque andrebbero usati con parsimonia. Un po' si scrive con l'apostrofo, non con l'accento, perché l'apostrofo segnala l'elisione della parola, che sarebbe "poco" nella sua forma estesa. Altra obiezione: ma l'hai letto almeno? No, in nome di Dio no. Ma ho letto Joyce. Ma non basta. Il pellegrino trova sulla sua strada una giovane autrice laureata (ci tiene a dirlo, dopo la foglia di fico la foglia d'alloro), che propone come opera prima un opus intitolato Figabook. Non è uno scherzo. Nelle note di copertina: il pisello azzurro esiste. Ma allora i soldi per pubblicare ci sono. Ministrone mi dica: è il mercato che ha deciso questa scansione delle opere pubblicabili? E' frutto di una sana competitività, di un accrescimento industrialfinanziarioeconomicoterziario? O forse è colpa di noi elitari di merda che leggiamo Joyce?

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