liga italiana

Il cantante Ligabue pubblica il suo ennesimo libro. Non è uno scrittore, è un cantante. A questo punto bisognerebbe dare la possibilità a uno scrittore (magari vero, e non finto) di incidere un disco. Non tanto per un criterio di equità, ma giusto per fare altro casino. Non si capisce perché la confusione e la sciatteria debbano essere appannaggio del solo Ligabue: che si consenta un bordello su vasta scala, che si indica una gara, un festival, dove ognuno può diventare un guru da quarto d'ora, scrivere brutti libri, scrivere brutte canzoni, e vedersele pubblicate, prodotte, divulgate. Io credo che Ligabue sia campione di un'unica cosa, di una sola, grande categoria: il qualunque, come e peggio di tanti canzonettari che come e peggio di lui diventano miliardari imbonendo la gente, ma che a differenza di lui non si ammantano di alibi intellettualistici e pose da pensatore di provincia. (Non c'è niente di male nella provincia, anche io sono di provincia, così lo dico e non passo per quello che vuole fare lo snob: solito argomento di chi non ha argomenti). Ha fatto i soldi Ligabue, ma che risparmi le lettere: risparmi l'editoria, risparmi i libri. Lasci i libri a chi ne sa qualcosa, a chi ci ha messo del sangue e un pezzo di vita. Lui fa canzoni, belle o brutte non mi interessa: perché non può continuare a fare quelle? Ribadisco la mia proposta ai dilettanti della penna: le vostre cose pubblicatevele da soli, autoproducetevi con i vostri miliardi, non infognatevi sotto la sottana delle grosse case editrici. Io i libri di queste persone non li leggo, non li leggo, non li leggo. Non li leggo per partito preso: andate a fare le vostre cose, basta prendere in giro i lettori. Non è possibile continuare a dirsi fuori dal sistema, a giocare a fare i rocker con i capelli a sbrendolo e la ricrescita bianca sotto la tintura marrone quando nel sistema, in realtà, ci si sguazza come un pesce nello stagno. E' questo stato di cose che ha fatto diventare i professionisti della canzone delle multinazionali; professionisti che ancora osano atteggiarsi a vecchi compagni di sbronze tutto Lambrusco e vecchie troie quando invece sono dei Paperoni d'assalto, disposti a qualsiasi trucco pubblicitario pur di rilanciare il marchio e agganciare nuove quote di mercato. Basta con questa pattumiera, vi prego. Non è possibile credere ancora ai cantanti, quando questi cantanti non rappresentano più nulla, sono aria fritta, sciacquatura di piatti: i miliardi li fanno sulla credulità popolare, sulla buona fede di chi non sa trovare un altro maestro, un altro referente culturale che vada oltre il qualunquismo accattone e il "destra sinistra per me è lo stesso". Come no? Basta non scontentare nessuno. 

vendo paese

Negozi aperti il 25 aprile, negozi aperti il Primo Maggio, shopping, struscio avanti e indietro per le vie del centro; la Milano da bere e da mangiare, i modelli imberbi e ormonati come mercanzia umana esposta in vetrina. La scuola ancora una volta non pervenuta sul fronte della cultura storica (la fonte è il Fatto Quotidiano, ma chissà perché già lo sospettavo di mio), con alunni che pensano che Salò sia in Calabria e la Resistenza sia un episodio risorgimentale. La via crucis italiana passa anche da questa stazione: il dissolvimento delle basi democratiche a cui siamo aggrappati come naufraghi. I segnali c'erano già nel berlusconismo, ma i segnali sono diventati sintomi conclamati: è veramente un 2012 di saldi e svendite: in svendita il patrimonio del paese, in svendita la memoria storica, in svendita il futuro. Non c'è fatto che non sia collegato, e così come il debito pubblico è la voragine che sta risucchiando nel vuoto la vita di almeno due generazioni, allo stesso modo la cancellazione sistematica del nostro passato ci sta rendendo ciechi e orfani, del tutto indifesi di fronte alle minacce latenti delle dittature. Che oggi magari non si chiamano Fascismo, ma hanno la stessa voglia di annientare il libero pensiero e la stessa smania di renderci tutti uguali, omologati, come avrebbe detto Pasolini. "Io so, ma non ho le prove" scrisse in un celebre passo. La verità è che da allora niente è cambiato, se non in peggio. Un silenzio assordante dove ci sarebbe invece bisogno di far rumore: il 25 aprile non è un giorno infrasettimanale in cui fare la scampagnata, ma il momento in cui ricordarsi che la Storia non fa sconti, e che ogni centimetro di libertà che oggi ci troviamo qui in regalo è costato il sangue di tante persone. Milioni di persone. Non vorrei fare della retorica, sia perché in giro ce n'è già a secchi sia perché la retorica è la nemica della consapevolezza. Ma dove vogliamo andare? Di questo passo quanto potrà reggere ancora il flebile ricordo di ciò che fu? Dieci, forse vent'anni. Poi, speriamo di non dover ricominciare daccapo. 

piccoli anacronismi tra amici

Non credo credo che voterò il movimento di Grillo alle prossime elezioni, ci sono delle cose che non quadrano, molte semplificazioni che propone mi sembrano scorciatoie, e il fatto stesso di cassare la storia politica come un'incrostazione della democrazia mi sembra un eccesso. O un'iperbole se vogliamo impiegare una figura retorica. Ma un fatto bisogna ammetterlo: negli ultimi mesi, se non negli ultimi anni, è stato il Movimento Cinque Stelle ad incarnare e a dare voce alla realtà del paese, più di tutte le alchimie politico istituzionali che hanno affollato i parlamenti d'Italia e hanno dato vita a sceneggiate meschine, traffici, accordi di palazzo. Da una parte si discuteva di energie rinnovabili, di informatizzazione, di libertà d'espressione, di cemento zero, e dall'altra di festini, intrallazzi, donnicciole, spartizione di poltrone. Aggiungo anche che Grillo fa bene a denunciare il trattamento a dir poco sconcertante che i media tradizionali (e quindi di potere) gli riservano: o non ne parlano, o lo trattano a mo' di fenomeno da baraccone. Ma i media stessi - intesi come giornali e televisioni - sono all'anacronismo puro, ovverosia agli antipodi della società di oggi, che è diversa rispetto a quella di dieci, venti o trent'anni fa; stesso discorso per la politica: rappresenta non tanto un'incrostazione, quanto un anacronismo, specie se dominata, come il giornalismo, da figure risalenti a ere geologiche fa. La conseguenza è uno iato profondo e incolmabile tra la società reale e la rappresentazione che politica e giornalismo ne fanno o tentano di imporre. Le conseguenze, tanto per cambiare, potrebbero essere disastrose, specie sul piano democratico: è impossibile parlare ancora di democrazia quando non sono più i popoli e le persone a decidere del proprio destino.

il delitto perfetto

Ed è così che i partiti hanno consumato il delitto perfetto: confezionando una legge elettorale ad hoc, infischiandosene di un referendum che esprimeva la volontà popolare di togliere loro il finanziamento pubblico, infiltrando uomini dappertutto, per un controllo capillare di ogni espressione di potere. Il gioco è riuscito, ed è un gioco di scatole cinesi: il cittadino non vuole il finanziamento pubblico ai partiti, così i partiti, che fanno e disfano in parlamento, cambiano nome al finanziamento, lo chiamano rimborso elettorale, e i parlamentari, che sono nominati da una segreteria e non devono rispondere direttamente all'elettore, approvano senza remore, perché sanno che la loro rielezione non dipenderà dai cittadini, ma dal partito che lì li ha messi. Spero di essere stato chiaro. Ora, io non credo in tutta onestà che questo procedimento possa dirsi molto democratico. La verità è che i partiti in quanto collettori di voti hanno mantenuto se non ulteriormente espanso il potere smisurato che avevano vent'anni fa, all'indomani di Tangentopoli, quando era chiaro a tutti che non si poteva continuare così. Oggi è ancora peggio, nel senso che i partiti si sono organizzati in modo tale da essere totalmente autoreferenziali: hanno i loro uomini nei punti chiave, non devono rendere conto ai cittadini del loro operato, le elezioni sono di fatto depotenziate da una legge elettorale insulsa ma che fa il loro gioco. Prova estrema di questa autoreferenzialità è il fatto che i partiti definiscano antipolitica tutto ciò che è al di fuori del loro raggio d'azione: un bell'atto di arroganza, ma non solo: è il delitto perfetto. O se si preferisce quella anarchia del potere di cui parlava Pasolini quarant'anni fa: il potere che non conosce regole all'infuori di quelle che esso stesso detta, e che ha facoltà di modificare in qualunque momento. Come dire: nessuna regola.

legati

Sarebbe ingeneroso e scorretto accoppiare la questione settentrionale con l'affaire Lega, avvinghiando i disagi e i dolori di un territorio alle disavventure politiche di un movimento che ha al massimo saputo cavalcare l'onda senza mai peraltro giungere al cuore del problema. C'è un partito politico che ha pasticciato con i conti, con le prebende, con il nepotismo e c'è la realtà di un pezzo di paese che sicuramente rappresenta qualcosa di più e di molto diverso rispetto ai riti tribali, al dito medio sempre alzato, alla dialettica da osteria e alla dizione impastata. Con la scusa della schiettezza, il partito di Bossi ha scarnificato una realtà molto più complessa, banalizzandola, buttandola in chiasso, e alla fine tradendola: così come il Nord non era quello raccontato dalla Lega dei tempi d'oro, così il Nord non è quello che ora appare accoppiato, per un meccanismo a dir poco sconcertante, con le sorti di un partito fuori strada già da molto tempo. E' un problema di prospettive: la narrazione leghista, ne sono convinto, ha fatto più male che bene al settentrione, perché di fatto ha assunto sulle proprie fragili spalle, da movimento di pancia ma non di testa, il compito di raccontare un tessuto sociale e storico molto più difficile, vasto e stratificato di quanto il lessico spiccio e i modi triviali potessero permettersi di esprimere. Il tracollo di questi giorni è una doppia conseguenza: da un lato l'ipocrisia di chi ha invocato forche e forconi per tutta la vita e ora si trova dalla parte del torto (e in questo senso alla Lega va bene che non verrà applicata nei suoi confronti la legge sommaria che essa stessa evocava con tanto livore per i misfatti degli altri), e dall'altro il non aver mai saputo veramente intercettare niente più che un umore basico, mai realmente problematizzato. I bizantinismi sono nemici della verità, ma lo sono anche le continue semplificazioni, gli insulti, le parolacce, la volgarità intellettuale come parola d'ordine. E se tanto mi dà tanto anche la ramazza impugnata come vessillo, la scopa come mezzo di pulizia un tanto al chilo non si discosta poi molto dai furori belluini del passato, furori che hanno portato ad accusare tutto e tutti e mai a guardarsi in casa una volta.

facili profeti

Il terremoto in Abruzzo compie tre anni: anniversario drammatico, di calcinacci e sangue. In quest'Italia sbandata e sbadata gli anniversari del dolore sono diventati l'unico espediente grazie a cui provare a ricordare i nostri drammi. Il terremoto e i morti del terremoto, ma anche la girandola di disorganizzazione, incuria, bugie che è seguita alla catastrofe, squallido seguito di qualsiasi emergenza italiana. Prevedere disguidi e spreco di soldi all'indomani di ogni disastro è un gioco facile, facilissimo: è la vera sconfitta di un paese moderno a parole, equo nei sogni, solidale a gettone. Parole come "ricostruzione" e "rilancio" sono slogan, ma slogan, a guardare l'etimo, è il grido di battaglia dei morti, e mai assonanza, in questo caso, risulta più esatta: dietro la cartapesta degli annunci, il vuoto. E purtroppo si sa già in partenza che è così: all'indomani di ogni nuovo disastro si è tutti facili profeti di spreco, ritardi, indecenza, come se in Italia ogni opera pubblica debba pagare per forza di cose un oneroso tributo al malaffare. Mentre le macerie restano lì, e le soluzioni non sono mai soluzioni, ma un tirare a campare, una toppa troppo piccola in un buco troppo grande, dove la malafede delle sparate di mescola alle lacrime e alla rabbia di chi in quelle macerie deve continuare a vivere, per scelta e per dignità. A questo punto è solo vietato stupirsi: di che cosa poi? Di una macchina organizzativa che fa acqua da tutte le parti? Delle infiltrazioni malavitose? Sono cose che si sanno da sempre, e che si perpetuano, come un'indegna eredità, o se si preferisce una malattia sociale che una generazione trasmette all'altra. Ci vorrebbe Sciascia per raccontare lo sfacelo, e l'annesso senso di sconforto, che assale alla gola tutte le volte che lo Stato si arrende a se stesso, e lascia che sul campo restino sempre le stesse vittime: le persone e il territorio.

vedi alla voce nord

E così la Lega ruzzola malamente a valle, in un crescendo rocambolesco di pasticci e cialtronerie. E con il crollo, l'armamentario dozzinale su cui ha fondato la propria sedicente e romanzesca dominazione fa ancora di più sorridere: corna, elmi, mistiche ascendenze celtiche, la Padania che non esiste, i ministeri fantasma a Monza, i fiaschi finanziari, il folklore di certi personaggi, le riforme mai fatte... Uno scenario fiabesco che negli anni ha assunto, incredibilmente, i contorni di una proposta politica; una bevuta con gli amici degenerata in un partito politico, un pomeriggio di scazzo assurto a dottrina. Ma i grandi miraggi sono grandi proprio perché fanno molto rumore, così come i veri illusi sono quelli che alla fine ci credono davvero: e così la Lega ha mischiato buonafede e malafede con disarmante disinvoltura, arrivando al collasso senza più capirci niente lei stessa. Ma quel paio di idee tutto sommato condivisibili dei primordi - un equo federalismo, la tutela del territorio - sono state corrose da un'arroganza sconfinata, una presunzione senza limiti e un pressapochismo da lasciare senza fiato. Con il risultato di tradire la natura stessa del territorio del nord: che non è xenofobo, non è avido, non distrugge la propria terra depredandola e deturpandola. E' ora che il Nord trovi un'altra voce: senza padri e fondatori, senza famiglie, senza rozzezza venduta per schiettezza; una voce inclusiva e non razzista, una voce che non abbia paura e che non mascheri la paura sotto le spoglie dell'aggressività indiscriminata. Perché la realtà è complessa, e penso che per affrontarla servano ragionamenti lineari, ma articolati. Per troppo tempo la "questione Nord" è stata banalizzata fino al ridicolo da un gruppo di personaggi senza alcun pudore. E un Nord italiano ed europeo non merita questo trattamento.