the day after

Le urne ci offrono un risultato che in fondo non sorprende. Quei numeri un po' pazzi che campeggiano sulle prime pagine dei giornali sono l'Italia, non vengono da Marte. Sono il ritratto di una società molto confusa e insofferente, questo sì; una società stanca e declinante che anziché cercare una soluzione nell'impegno e nella forza di una proposta ha preferito sparpagliarsi tra i poli opposti (ma comunicanti) dell'anarchismo fatto politica: Berlusconi e Grillo. 


Il risultato dell'ex comico (ma non candidato e quindi non eletto) non può stupire. Il suo consenso  si è sostanzialmente articolato su due fronti: uno di militanza e uno di semplice adesione. Nel primo caso c'è stata partecipazione attiva, volontariato, mobilitazione da parte della cittadinanza che crede veramente nel M5S; nel secondo caso, c'è l'elettore della domenica, quello che non sapeva per chi votare e alla fine ha sparato la sua cartuccia nella direzione della pura protesta. L'italiano medio del "sono tutti uguali" per dirla breve. L'italiano che non ha la più pallida idea di quale sia il programma di Grillo, che non è nemmeno avvezzo a internet, che non sa nulla sulle sue linee direttive in materia energetica, giudiziaria, economica. O forse una cosa la sa: la proposta più forte di Grillo è quella di uscire dall'euro. Non a caso, la pensata insieme più mattoide e populista. Che cosa ne farà del paese questa truppa di onesti cittadini catapultati nella Babele parlamentare non è ancora possibile saperlo. Che ruolo avrà Grillo con il suo guru Casaleggio, ancora non si sa. Due figure elette da nessuno che manovrano un parlamento eterodiretto? Non so se questa domanda se la siano posta i molti simpatizzanti. 


Il responso che però ferisce di più questa Repubblica è stata l'ennesima riesumazione berlusconiana. Forse bisognerebbe cominciare a parlare di mesmerizzazione o di qualche altra diavoleria alchemica. O forse bisognerebbe semplicemente prendere atto che una vastissima porzione di Italia condivide e sente sue le sgangherate ipotesi eversive e le pietose bugie di questo improbabile capo di governo. Il più raffazzonato, il meno colto. E' il lato brutto e squallido dell'anarchismo che in Grillo ha trovato una veste più moderna ed effervescente; la maschera funebre che fa paura all'Europa e al mondo, ma presso la quale tanti italiani nel segreto dell'urna (perché nei sondaggi, è un dato oggettivo, si vergognavano a dichiararlo) hanno trovato rifugio. Ed è un'Italia che, spiace dirlo, atterrisce e spaventa. Capace di bersi di tutto, di dimenticare tutto, di perdonare tutto e di fidarsi delle menzogne che il suo santone catodico ha sempre dispensato a piene mani, certo di non dover mai rendere conto di niente a nessuno. In Berlusconi la bugia ha cambiato sostanza. Citando a sproposito Hegel, una bugia è solo una volgare bugia, ma un sistema di menzogne abnorme, coadiuvato da un blocco informativo compiacente, cambia anche di qualità: diventa accettabile, reale. E quindi, razionale. 
Ora, non sono così ingenuo da dire che Berlusconi e Grillo siano la stessa cosa, ma la carica anarcoide, la scelta facile, il miracolo, il colpo risolutore e la sostanziale deresponsabilizzazione del cittadino che stanno alla base del voto a uno o all'altro sono quasi gli stessi. Anche se Grillo predica il contrario, catechizzando i suoi all'insegna dell'impegno individuale, nei fatti e nei vaneggiamenti li liscia, gli dice quello che vogliono sentirsi dire. E' un berlusconismo più aggiornato, più attento agli umori della rete, ma le tecniche di base per accalappiare gli elettori si assomigliano, l'abc della politica spettacolo è sempre lo stesso, così come analoga è l'inquietante attitudine all'azione autoriferita che entrambi i leader hanno. Il loro è un "io" o un "noi" che non conosce l'"altro". Che lo disprezza, che lo addita come nemico o che addirittura non lo riconosce. E la via di fuga, specie nel caso di Grillo, è quella di sottrarsi, con l'acrimoniosa accusa: "Non avete capito niente". 


All'opposto di questo marasma, stava un'opzione di scelte collegiali. Stava l'impegno senza effetti speciali. Stava il dividersi i compiti a partire dalle uniche due cose che in questo momento possono salvarci: la legalità e il lavoro. Stavano i sacrifici in nome di qualcosa. Stava la pazienza del mettersi d'accordo, perché la democrazia è una cosa difficile dove le bacchette magiche fanno disastri. E' il discorso del progressismo di respiro internazionale, che va da Obama in giù. Quel progressismo che tanti paesi del mondo hanno individuato come soluzione complessa ad una situazione complessa. Che richiede onestà, impegno, responsabilità, lavoro. Concetti che in Italia, in questo momento, fanno presa solo su una minoranza. 

il bivio

Gli italiani lottano contro una parte di loro stessi. Si lamentano, tanto, ma poi tornano a votare dalla parte delle lusinghe. Credono alle bugie che sanno essere bugie, e ci vorrebbe un grande clinico (o un plotone di luminari) per capire in che modo un popolo intero possa decidere di mettere in gioco se stesso al punto di scommettere tutto su una conclamata menzogna. E il sospetto che mi brucia le tempie è che in questa lotta intestina si consumi gran parte delle energie di questo paese. Perché non c'è la forza di costruire un progetto democratico basato sulle idee e non sulla parlantina di un personaggio? Pigrizia, faciloneria si potrebbe dire. Giorgio Bocca, negli ultimi anni di vita, constatava amaramente che la metà degli italiani è fondamentalmente fascista: una frase grave, che spero non corrisponda alla verità, ma su cui vale la pena di riflettere. Articolare un discorso democratico complesso, progressista, capace di mettersi in discussione, è un'operazione difficile, che richiede maturità, e un senso del bene pubblico molto sviluppato. Se l'apologia della tangente e il minimizzare la corruzione hanno appeal presso l'elettorato c'è di che preoccuparsi, a prescindere da chi vinca le elezioni e con quali maggioranze. Se il fascino dell'uomo forte con tanti poteri è capace di solleticare ancora la fantasia dei cittadini, significa che siamo molto indietro sulla strada della modernizzazione di questo paese. Già il fatto di avere così tanti partiti con il nome del leader nel simbolo, partiti senza storia che si impongono per la telegenia del loro capo, non lascia intravedere niente di buono per il futuro. Il berlusconismo, oltre che causa di tanto sfascio, è anche il sintomo di un male profondo, di un disagio che esorcizza se stesso nella sostanziale deresponsabilizzazione personale: che ci pensi un altro a comandarmi, un altro che mi dica sempre che va tutto bene. Nonostante tutto, in questa Italietta confusa dove anche la rabbia popolare è un'operetta inscenata in favor di telecamera negli ormai famigerati collegamenti con la Piazza, è sempre colpa di qualcun altro. 

la morte simbolica


Il balcone di San Pietro è vuoto. L'immagine è esatta, precisa. Nanni Moretti l'aveva vaticinata nel suo ultimo film, ma un film, come qualsiasi altra opera, altro non fa che captare lo spirito dei tempi. Un autore non tira i dadi, fiuta l'aria. E quel balcone, forse, era vuoto già da un po'. Il Padre, come simbolo, come entità, è stato divorato dai tempi, e quella finestra resta sospesa a mezz'aria, incerta. Che cosa si può dire? Come interpretare la vischiosità del presente? I dogmi si sono sbriciolati, e il brivido che oggi ci regala la Chiesa è quella del relativo, e ad offrircelo sul piatto è il Papa all'apparenza più conservatore e tradizionalista, quello che il relativismo l'ha sempre combattuto. Un Papa che dall'infallibilità è passato ad un umano, disarmante "non so più che fare". E' un gesto di dignità molto grande, quasi incomprensibile con i canoni dell'oggi, dove il sommo valore è l'attaccamento al potere e alle sue cerimonie. Ma questa decisione segna anche uno scarto netto, un prima e un dopo: per i fedeli è l'Incognita, per tutti un suono quasi assordante. Si ha un bel citare Celestino V e altri grandi rifiuti, la verità è che quasi nessuno ha sottomano i mezzi culturali per capire con esattezza che cosa è successo, per la semplice ragione che le implicazioni di questa scelta sono oscure e inedite, sia per premesse che per conseguenze. Il Papa che abdica è forse la fotografia di una civiltà orfana, di certo di una fase storica che ha esaurito il proprio alfabeto, e con esso la possibilità di interpretare il presente. Servono nuovi canoni, ma i linguaggi non nascono dall'oggi al domani, e un lutto simbolico, come in questo caso, può essere più doloroso e complicato di un lutto della carne. La morte porta compiutezza, la dimissione no. Andarsene è un diritto (lo diceva anche Baudelaire), ma andarsene significa anche lasciare spazi aperti, domande irrisolte, fatto normale in vite normali, eccezionale se a farsene carico è un Papa, per chi crede, Vicario di Cristo in Terra. Quel "non farcela" sottende un bisogno di collegialità e di condivisione che non ha precedenti nella storia; la fallibilità di un Papa è la fallibilità del mondo, inesatto e imperfetto per definizione. 

Modigliani all'asta


Uno dei ritratti dedicati da Modigliani a Jeanne Hebuterne è stato battuto all'asta da Christie's per la bellezza di 31 milioni di dollari. Fa un effetto straniante sentire certe cifre se rapportate alla miseria e alla precarietà in cui Modigliani lavorò tutta la (breve) vita. Non so se sia possibile trarne qualche lezione, ma di certo il rapporto spesso contraddittorio tra vita artistica e riconoscimento offre qualche motivo di riflessione, specie sulla totale sproporzione tra il valore delle cose e la loro collocazione sul mercato, tra l'essenza dell'opera e la sua monetizzazione. Il nesso quantitativo tra la grandezza di Modigliani e la sua incalcolabile valutazione nel listino prezzi non penso serva a rendere giustizia all'uomo, né tantomeno penso basti a spiegare nemmeno un poco perché un artista sia tale; il legame tra arte e fruizione, tra arte e il suo esserci al mondo costituisce ancora un mistero, qualche cosa che non parla e non fa cenno, ma agisce con la sola presenza. Forse è indicativo il fatto che le opere d'arte siano oggetto di speculazioni proprio nei periodi in cui la cultura conta meno: perché in qualche modo un quadro di Modigliani o Picasso o chi volete sono un bene rifugio che sopravvivrà all'effimero di finanza allegra e sbando dei mercati. Solo che i soldi non sanno andare oltre al loro stesso conteggio; come il potere politico, il potere finanziario è autoriferito, e non sa intravedere la grandezza di un pensiero se non attraverso la grandezza di una cifra. E per quanto questa cifra possa ingrossarsi di asta in asta, noi possiamo avere titoloni di fronte ai quali sbalordire, ma non un grammo dell'essenza di Modigliani e del suo mondo. E in questa separazione, questa incomunicabilità, sta tutta la debolezza di un sistema, quello in cui ci troviamo a vivere, che ha confuso la cosa in sé con la sua rappresentazione economica, un equivoco, o forse un'estrema semplificazione, che ha portato il gusto e la coscienza culturale dell'occidente alla deriva di oggi. Non a caso, il surrogato che ci meritiamo è l'idolatria verso moda e stilisti e relativo circo miliardario. Modigliani, in miseria, i quadri spesso li regalava.