ferro Battiato

Malinconica uscita di scena dalla politica per Franco Battiato, in seguito al suo disastroso scivolone in diretta da Bruxelles, con una frase molto volgare e qualunquista, che niente ha a che vedere con il profilo colto ed elegante della carriera artistica del cantautore. Il fattaccio spiega a modo suo almeno due cose: la prima è che un artista non deve occupare posti di potere, veri o simbolici che siano, perché finisce sempre per fare qualcosa che non va, per sognare un sogno troppo alto o, come nel caso di Battiato, per incartarsi in una lettura populista e generica della realtà. La seconda offre qualche spunto di riflessione sull'impatto del grillismo nel dibattito pubblico: la parolaccia come scorciatoia retorica, l'insulto globale totale, la divisione manichea tra un "noi" buono e un "voi" male assoluto. Il grillismo come artificio che assolve la barbarie anarcoide e addossa colpe e orrori ad un "altro" inteso come categoria antropologica, è un modello politico destinato ad avere successo. Perché è molto italiano. Forse questo è un modo per spiegare come mai Battiato ha smesso le vesti del raffinato musicista per indossare i panni non suoi del politico cincischiato e pasticcione. Perché non è Franco Battiato quello che offende le istituzioni e gli italiani con parolacce da bar, ma il suo avatar catapultato a casaccio in politica: un mascheramento (uno sdoppiamento) che produce gli esiti miserrimi dell'ormai famigerata conferenza stampa. Lo stampo di questo mascheramento è puro Grillo. Il Qualunque che diventa la mascherina di un Batman da osteria che se la prende con tutto e tutti senza avere l'onestà del discernimento, è un marchio già depositato dall'ex comico, fautore di un'azione politica basata da un lato sulla regola del no, dall'altro sull'autoinvestitura a censore per conto del popolo. Tutto il popolo. Quel 100% totalitario che è la meta dichiarata dell'avventura cinquestellata. Dispiace che anche Battiato sia caduto in questa trappola. Anche lui credeva di parlare per conto del popolo, anche quando l'ha offeso a sangue. 

costruire l'amico

Gli innamoramenti giornalistici sono un fenomeno paraletterario di primo livello. Quando la stampa italiana, ma non solo, decide di amare un personaggio, una moda, un fenomeno, è in grado di mobilitare un contingente di forze che non ha uguali nel panorama mediatico (e non solo). Ora è toccato al Papa, assurto, nel giro di cinque giorni, ad icona pop della bontà un tanto al chilo. Con tanto di stillicidio verbale, tipico della categoria: bontà, semplicità, povertà, parappappà. Costruire il nemico, diceva Eco, ma in qualche caso bisogna anche costruire l'amico: il mito, il depositario delle speranze. Ora, non è detto che un Papa debba essere per forza algido e distaccato, e non è nemmeno detto, come qualche dotto curiale ha sostenuto, che il papato sia importante in quanto tale a prescindere dai comportamenti soggettivi, ma da qui a far dire al Papa, e a qualsiasi altra figura pubblica di livello mondiale, quello che ameremmo sentirci dire, ce ne passa. O ce ne passerebbe, visto che l'opera di costruzione mediatica operata dalla stampa in questi giorni ha qualcosa di sbalorditivo e megalomane. Prima o poi Francesco dirà o farà qualcosa che andrà in controtendenza rispetto alle mode ideologiche dettate dal gossip à la page, e allora che succederà? D'altra parte è un Papa cattolico, è depositario dell'ortodossia della fede, non ci si può aspettare che soddisfi le brame libertarie del bel mondo, così, giusto per non deludere le aspettative personalistiche di questo o quel vip. Il cercare ad ogni colpo di tosse svolte epocali e momenti storici denuncia in modo prepotente l'ambivalenza etica di tanto giornalismo, che il giorno prima di muove compatto o quasi verso mete libertarie e anticlericali, e il giorno dopo - così, giusto perché l'attuale Papa riesce interessante in tv e dice in buona fede cose che fanno gioco alla malafede di certi commentatori - diventa alfiere dei valori cristiani con qualche punta di conservatorismo spinto. E in questo flusso di considerazioni senza senso, di sondaggi, di opinioni qualunque, la parola si diluisce, perde di consistenza, e diventa rumore senza alcuna restituzione simbolica: la parola come residuo, detrito di un processo di significazione montato sul nulla di una campagna mediatica priva di riscontri. C'è un Papa che non è ancora entrato nel vivo del suo lavoro, e c'è il suo eidola montato dalla fantasia paraletteraria del giornalismo di massa: due facce che non sono complementari, ma contrapposte, come la realtà e la sua rappresentazione autoprodotta. 

collasso democratico

Dal punto di vista iconografico, la massa di deputati Pdl assiepata sulla scalinata del Palazzo di Giustizia rappresenta uno dei minimi storici repubblicani; un equivoco in termini dialettici e pratici. Gli onorevoli appena eletti si presentano al capezzale simbolico del padrone, quel Palazzo dove l'eminenza consuma il suo ultimo lembo di esperienza reale, quella che lo fa essere ancora un essere umano e un cittadino, in contrapposizione alla fantasia sfrenata e sadiana in cui la sua figura ormai è prigioniera da tempo. Non si capisce bene per che cosa o per chi manifestino questi signori con bandiera italiana e inno bestemmiato in un canto che dire incongruo è dire poco. La sensazione è che non lo sappiano nemmeno loro. Potremmo chiamarla manifestazione per il collirio, sit in per la difesa della berlusconità, mobilitazione in difesa del diritto di marcare visita, lotta per la congiuntiva. Ci sarebbe da ridere se non fosse che da ridere non c'è più niente, e l'agitare lo spettro della libertà e del diritto, proprio da parte di quella falange politica che ha sempre infangato e disprezzato il diritto e la libertà degli altri, è solo il solito, squallido espediente, per difendere i privilegi di uno evocando la sicurezza di tutti. Ma questa destra berluscoide è al massimo in grado di difendere i relitti di se stessa immolandosi per la salvezza del suo declinante padrone politico. Lo strumento, è questa parodia di manifestazione, dove per un gioco strambo e vizioso, non è il popolo a manifestare per il popolo, ma un privilegiato manipolo di miracolati per la bella faccia di uno solo, il padre padrone padrino di un movimento che, checché ne dicano, di storico e democratico ha pochissimo. Ma il Pdl ha sempre avuto dalla sua una dote, grandissima: quella di usare come espediente retorico la tautologia ad un alto grado di sofisticazione. Pervertire la realtà, ribaltare i concetti, trasformare le accuse in controaccuse, ripetere la finzione in modo massivo e continuato in modo da renderla vera presso una parte dell'opinione pubblica, abituare la gente allo scandalo e al peggio in modo tale da anestetizzarla, anche per mezzo di una potenza di fuoco mediatica senza precedenti nell'Occidente democratico, sono stati i grimaldelli e le armi di scasso con cui questa stramba forma di potere si è conservata nel corso del tempo. Certo, ora il sistema mostra la corda, ma è ancora capace di irretire un buon trenta percento di elettorato, vittima o complice o entrambe le cose di questa tragica epopea chiamata berlusconismo. Ma la tautologia di fondo rimane: tutta la retorica di questo partito, dai suoi albori ad oggi, si è sempre basata sulla reiterazione del vuoto, e un partito che in tutti questi anni non ha mai fatto altro che produrre se stesso come generatore di consenso e basta, alla fine non può che ridursi a messinscene come quelle del Palazzo di Giustizia. Perché il partito salva se stesso non grazie ad un'idea, ma grazie al corpo del capo, che è l'elemento indispensabile per la propria sopravvivenza, sia politica che economica. E perché soprattutto generare consenso non significa generare anche senso. Nel mascheramento di questa assenza i vari portavoce, megafoni, pupazzi che si sono succeduti nel corso degli anni sono stati dei maestri: un profluvio di artifici simbolici e verbali che sono serviti da vera e propria cortina fumogena per occultare la mancanza strutturale di un progetto collettivo. 

Anatomia di un Movimento



Gli articoli riportati qui sopra erano presenti su un mio blog dei tempi andati, ormai defunto, insieme alla piattaforma che lo ospitava. Ho voluto ripubblicarli in modo che possano essere letti. Risalgono al 2007 e parlano tutti di Beppe Grillo e del suo movimento che ancora non si chiamava 5 Stelle. Mi interesso al fenomeno da tempo, da molto più tempo di tanti freschi eletti in parlamento. L'ho studiato, il Movimento, l'ho auscultato e l'ho quasi sempre difeso nelle sue prime fasi. Mi pareva avesse qualcosa da dire che andasse oltre il politichese tradizionale; che ponesse sul tavolo questioni delicate e ingiustamente ignorate dalla politica parlamentare. Insomma, avevo simpatia e quasi affetto per le idee che andavano sviluppandosi in quella fase ancora embrionale e indefinita, quando la stampa ufficiale alzava gli scudi e paventava sospetti e accuse di terrorismo. Ora la situazione mi pare radicalmente cambiata. Ci troviamo di fronte ad un movimentismo settario e intransigente, dove gli spaesati eletti (dagli elettori, non dai marziani) sembrano più gli aderenti ad una religione privata che non i rappresentati votati dai cittadini: è il nuovo brivido del grillismo. La democrazia autoriferita: è democratico quello che pensano lui e l'ineffabile Casaleggio, tutto il resto è inesistente, di più: è da abbattere. La presa di posizione di Grillo e soci è definibile come arrogante e autoritaria. L'aver strizzato l'occhio al fascismo antisistema (oltre alla faccenda Casa Pound, anche le dichiarazioni delle ultime ore) è solo un tassello che va componendo un quadro sempre più coerente. Non è una buffonata il M5S, perché i voti che ha preso sono veri, ma ha molti elementi buffoneschi, che la regia occulta in capo al movimento regola e dosa a proprio vantaggio. Le parole d'ordine, le adunate, il gusto di sentirsi migliori e illuminati sono solo gli elementi esteriori di un'operazione politica di puro calcolo, giocata sullo sfascio degli altri, e probabilmente anche sullo sfascio dell'Italia. Più va male, più il Movimento prende voti. Più va male più Grillo e Casaleggio avranno modo di manomettere la Costituzione senza che nessuno batta colpo, cosa che nemmeno al Berlusconi più arrogante e arrembante era riuscita. Stiamo attenti, perché è quello il bottino. La dialettica, in questo partito non partito, è azzerata. Ha le sue regole interne, i suoi meccanismi indecifrabili, ha i suoi due capi eletti da nessuno che agiscono come gli pare, e il popolo italiano sta seriamente pensando di dare a loro due le chiavi di casa. Cioè a un modello mattoide di oclocrazia dove le mediazioni parlamentari sono annullate e gli istinti della massa sono sobillati e modulati da una miscela micidiale di demagogia e populismo. Il tutto sulle macerie economiche e sociali di un paese intero.