la serietà leggera

Bello rivedere Bernardo Bertolucci che parla della sua vita e della sua arte. Lui è uno degli ultimi grandi maestri del cinema che meritino di essere definiti tali. E' il più grande regista cinematografico italiano vivente, è un simbolo positivo, ma parla con la freschezza di un ragazzo. Parla di cinema, ma non solo: il suo spessore culturale gli consente di spaziare in ogni campo, ed è come se ogni sua frase, ogni immagine che con tono suadente riesce a suggerire emanasse subito altri percorsi, altri collegamenti, in un gioco di segni e rimandi. Bertolucci è una di quelle figure che mi comunicano grande calma, come Picasso, Fellini, Hemingway. Difficile trovare una spiegazione, ma forse è per via della saggezza che sanno trasmettere con ogni loro gesto: passione e saggezza, unita a quel tanto di disincanto che serve a smitizzare i falsi idoli e le preoccupazioni inutili. Fin troppo facile elencare i suoi film. Mi vengono in mente Ultimo tango a Parigi, Il conformista, Novecento. Ma, anche qui, una lista non avrebbe senso. Qualcuno ha detto che Bertolucci in realtà è un grande narratore prestato al cinema, ed è un'affermazione difficile da contraddire: la sua cadenza è quella della prosa poetica, quella nobile, di respiro storico. Autore ideologico forse (come se fosse un insulto) ma lontano dalla retorica, uno degli ultimi a saper parlare di Storia in tono epico, sullo slancio della nota, piuttosto che in minore, con il pretesto dell'undestatement. La verità è che è una delle poche persone che vorrei conoscere, a cui vorrei dire che senza i suoi film starei un po' peggio. Perché lui appartiene ancora ad una categoria di persone per cui fare film, fare arte, diffondere cultura, è ancora una cosa seria. La serietà leggera di Bertolucci: potrebbe essere il titolo di un saggio. La serietà appassionata di chi è veramente libero, e può permettersi di esserlo.

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