scrittori

Non ce n'è uno che parli bene del suo lavoro. Hanno vergogna di chiamarlo lavoro, vanno di perifrasi: passione, passatempo e così via. Si schermiscono, antepongono il loro alter ego rispettabile: l'avvocato, l'economista, il chimico, il macellaio. Come dire: guardate che sono una persona seria tutto sommato, sì, va bene, ho il viziuccio di scrivere, ma solo un poco la sera. Ne parlano, si diceva, un gran male. Uno che circola su internet dice che andremmo tutti "presi a calci in culo", lui compreso. Ma perché? Suona bene dirlo. Siamo una banda di sbandati, di vili, di ipocriti appesi alle voglie dei (pochi) lettori e di case editrici sempre più in confusione che fanno di tutto tranne che occuparsi degli scrittori. Gli scrittori. Li vedi poi, depressi, che abbondano in tv, specie se autori di genere. Giurano che nella vita fanno anche altro, sia mai di turbare qualche coscienza, dicono anche che non è che siano proprio scrittori, ma insomma, sono scrittori così così, part time, vabbé niente di serio. Mi fa morire quello rossiccio di capelli, consunto, che fa di tutto per sembrare uno che non ha niente da dire e poi tiene banco per ore. Confermando perlomeno che le cose che ha da dire sono sempre le stesse. Invita a sperare nell'Arcadia: semina, poi chissà, magari. Niente di male: teme la concorrenza, come in qualsiasi settore che si rispetti. Certi scrittori venerano prima di tutto il mercato, non fa più molta vergogna nemmeno dirlo. Certi scrivono a stento cinquanta pagine che le vesti editoriali gonfiano almeno a quattrocento. Poi parlano della Musa e dello spirito. A quando la prossima, maestro?

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