questione di pagine

Può la letteratura essere considerata al chilo, prendendo come parametro oggettivo il numero delle pagine? Un tempo avrei risposto recisamente di no, e ancora oggi propendo per una visione qualitativa di un'opera. Ma non basta fermarsi a questo. Diciamo che qualcuno se n'è approfittato; non un maggioranza magari, ma una consistente e tenace minoranza. Scrittori di romanzi che non sono romanzi, ma racconti gonfiati dall'apparato meramente tipografico, saggetti e saggini di risibile consistenza in cui vengono infilate sentenze e massime di vita al solo scopo di proporre magari più libri suddivisi che raddoppiano gli incassi e dimezzano le fatiche. E' in gioco anche l'onestà dell'autore in un certo senso. Capita troppo spesso di vedere questi bei libretti dai colori invitanti, la rilegatura pesante, i titoli ad effetto (amore, cuore...) le quarte di copertina che sono tutto un tripudio di elogi e di buoni sentimenti, o viceversa delle peggiori infamie (sangue, morte...) per poi scoprire, una volta aperto il volume, corpi tipografici abnormi, spaziature ingiustificate. Colpisce proprio la gestione degli spazi in certe operazioni editoriali: li chiamo libri allo stato gassoso, gonfi di bolle vaporose che ne aumentano il volume ma che lasciano invariata la sostanza. Ma guai a turbare i maestri nella loro pensosa poesia, guai a parlargli di tempi, di metodo, di costanza, di fatica. Soprattutto di fatica. Perché loro si stracceranno le vesti parlando della qualità degli aggettivi, della penosa scelta di ogni dettaglio, del travaglio morale di accenti e sinonimi. Sono quegli scrittori che in tutta la loro vita hanno scritto un libro, forse due, e per di più quai invisibili tanto sono sottili. Dicono che meno si scrive meglio è, di solito. La loro linea Maginot è: si scrive sempre troppo, bisogna leggere, non scrivere. Però poi continuano a scrivere. Poco, ma continuano. Prediligono pubblicare raccolte dei loro imperdibili articoli, aforismi vari, aneddoti, ricordi. Insomma, tutte cose estemporanee, che necessitano di qualche oretta rubacchiata qua e là. Il romanzo? Dicono sia morto. Amen. Forse è per questo che sto rivalutando la scrittura ad ampio respiro, ad alto tasso di impegno, di rischio, di fatica autentica. Pensiamo ai grandi capolavori: Guerra e pace, Delitto e castigo, Moby Dick, Viaggio al termine della notte... In letteratura è bello anche perdersi qualche volta, sia come scrittore che come lettore. Accumulare personaggi, storie, divagazioni, situazioni. Il che naturalmente non contempla minimamente la retorica o la ridondanza. Così come è altrettanto ovvio che la letteratura di taglia più snella può raggiungere vette altrettanto alte (l'opera di Simenon, oppure di Schnitzler). Ma non deve essere un pretesto a carattere venti e a venti euro di prezzo.

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