Egon Schiele in mostra


Bella e necessaria mostra su Egon Schiele a Palazzo Reale a Milano. Un percorso sufficientemente ampio, una quarantina di lavori, che ripercorrono per sommi capi il breve itinerario dell'artista austriaco, vissuto agli albori del Novecento e scomparso a soli 28 anni, nel 1918, a causa dell'influenza spagnola. Percorso drammatico e sensuale il suo, attraversato da visioni da incubo, rappresentazioni metaforiche e ossessive (il sesso, gli organi sessuali, la nudità squallida), che gli costarono anche la galera. La storia di Schiele è accessibile a tutti, ad ogni modo, ma è osservando dal vivo le sue opere che si coglie tutta la prepotente forza d'urto della sua visione: un mosaico di accostamenti e ricadute che fanno di lui un autore autenticamente moderno, in anticipo di decenni sull'arte a lui coeva. Oggi come oggi sarebbe stato un disegnatore, come e più di Lautrec, poco ma sicuro. Personalmente ho colto la singolare somiglianza con i disegni di Angelo Stano, il creatore grafico di Dylan Dog, che quasi certamente ha trovato in Schiele più di un motivo di ispirazione. Il tormento, la forza, la decadenza ma anche la struggente dolcezza dei suoi tratti sono ancora oggi un'esperienza estetica di raro coinvolgimento: perché Schiele è in grado di avvolgere con la pastosità delle sue linee, di risucchiare chi osserva nel fondo cupo della tela. La Vienna dei suoi tempi fu un crogiolo di talenti e intuizioni, non ultime quelle di Freud, la cui teoria dell'inconscio fu recepita da Schiele e in qualche modo impressa sulla tela. Schiele autore interiore? Probabilmente sì. C'è troppa sofferenza in ogni opera, in ogni schizzo, in ogni scorcio genitale tra le cosce aperte delle modelle per non parlare di straordinaria profondità psicologica. Non è sessualità frustrata, e nemmeno morbosità, piuttosto umanità dolente, dignità ferita, miseria delle membra ritratte nella loro posa più indifesa.

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