la nostra casa

La faccenda Lambro sta assumendo sempre più i connotati di una delle tante speculazioni edilizie che hanno assassinato la Brianza in questi anni. Il partito dei costruttori a tutti i costi, dei fautori del progresso a colpi di calcestruzzo è molto forte e molto influente e Il povero Lambro, alla fine, è quello che ci ha rimesso più di tutti in questa specie di regolamento di conti alla cassoeula. Il progetto che avrebbe dovuto sorgere sulle spoglie dell'area industriale dismessa seguiva né più né meno che il classico ideale abitativo di queste parti: un megacomplesso con centri commerciali, capannoni industriali e via dicendo, nel solito crescendo di relitti a venire e parcheggi sotterranei. C'è da scommettere che non si sarebbe trattato di edilizia sanamente popolare, ossia destinata alle famiglie a basso reddito e alle giovani coppie, no: sarebbero stati appartamenti di lusso, dati a uno sproposito al metroquadro, fatti per soddisfare l'alta fascia di questa melmosa e indistinta borghesia postindustriale che fa e disfa come le pare. Lusso al prezzo di sconvolgimento del territorio, seguendo uno schema noto: l'ambiente di tutti diventa fortino personale di qualcuno; il pubblico viene comprato dal privato. Il caso del Lambro è eclatante, particolarmente odioso vista l'indubitabile presenza di dolo, ma non è che uno dei bubboni sul punto di esplodere, una delle tante contraddizioni che prima o poi questi luoghi e i lori cittadini saranno chiamati a risolvere. Capiremo allora se l'amore per la propria casa passa per la demagogia violenta e arruffona di qualcuno o se forse c'è anche un modo più civile e più sereno per riappropriarsi di ciò che è proprio. No, gli extracomunitari non c'entrano stavolta.

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