lettera chiusa

Perdoni l'ardire ministro, ma proprio non ci siamo. Mi presento: sono un cittadino marginale bamboccio (l'accrescitivo mi fa orrore, perdoni se non lo uso), economicamente ininfluente, accademicamente esecrabile. Non credo che me ne andrò di casa per farla contenta, e il bello è che lei non potrà farci niente: perché non credo in lei, non credo in ciò che fa, non credo al governo che rappresenta. Ritengo il suo operato eccedente rispetto alla soglia del buon gusto e di qualsiasi eleganza istituzionale. Di più: mi irrita. Non ha di che preoccuparsi però: non conto nulla, non ho padrini alle spalle e non posso esercitare alcun tipo di pressione. Un piccolo potere, però, ce l'ho: decidere dove vivere, cosa fare e cosa dire. La ragione è molto semplice: sono nato libero, non sono un liberto, né uno schiavo; ho studiato, ho letto, mi sono informato e sono giunto alla conclusione che lei non può dirmi quello che devo o non devo fare. E se a stento riconosco il suo ruolo, mi creda, non è per via del suo carisma, ma per quell'obbligo quasi affettuoso a cui mi vincolano la cittadinanza e l'abitudine. Per il resto, fino a quando non sarà proibito anche pensare (so che ci sono dei progetti anche in questa direzione), io continuerò ad avere una mia opinione e a difenderla, cercando di non morire di paura di fronte all'autorità altrui e cercando di non perdere del tutto la dignità prostrandomi di fronte ad un certo tipo di arroganza. Sono una delusione, lo penso anch'io: non riesco ad apprezzare la genialità, la concretezza, la vicinanza alla gggente cui sottende il suo ragionamento. Ma per farmi perdonare comunico in anticipo i luoghi in cui eventualmente mi trasferirò: nonni, zii, cugine, fidanzata, ex morose non desiderose di farmi la pelle. Non ho fratelli, sennò li aggiungerei alla lista. Stia bene, cordialità.

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