leoni d'oro

Volevano Tarantino, lo volevano con tutte le loro forze. Lo hanno elogiato, osannato, lisciato. Forse per via dell'antico equivoco che vuole gli americani dal cognome italiano come dei mezzi parenti, quando questi qui dell'Italia non sanno un fico secco, non spicciano mezza parola e delle nostre contrade conoscono solo qualche tarantella, qualche pizza e bene che vada la Ferrari che gli marcisce in garage. Quando poi il Tarantino se ne è uscito con il suo elogio del cinema trash italiano anni settanta e ottanta, si salvi chi può: è diventato un semidio. Il tenue imbarazzo che tutti noi giustamente nutrivamo per quella stagione spensierata ma non proprio gloriosa, si è tramutato in oro colato. Il merito? Di Tarantino, Re Mida cinematografico, alto e goffo ciondolone dagli occhiali scuri al buio (orzaiolo?), fortunato cineasta con un'idea di cinema che spazia dallo horror allo splatter, mestierante della macchina da presa di poca cultura e grande astuzia che con poca spesa ha piantato le tende qui da noi. Che onore acciderboli. Sai che facciamo? Gli diamo la presidenza della giuria del Festival del cinema di Venezia, ma mica monopolizzerà la scelte convogliando i premi sui suoi amici e le sue fidanzate? Ma no, figurarsi. Lui premierebbe anche sua madre, ma a patto che il film gli piacesse sul serio. Appunto. Ha premiato l'amico e la ex morosa. All'unanimità, dice lui. Salvatores, in giuria anch'egli, dice di no, ma pazienza. Non sarà mica che della nostra ospitalità se ne sbatte e tutto quello che gli interessa sono i fatti suoi? Ma no, è un mezzo parente. Accetterà le critiche? Ma certo: in conferenza stampa mima una fellatio in direzione dei fischi, ma si sa: è un burlone che si è formato sui fumetti e su Ruggero Deodato. Festa finita, premi e premietti assegnati. Volevano Tarantino, lo hanno avuto, che non si lamentino adesso: lui ha fatto quello che sa fare.

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