gioco di squadra

Parlano di squadre e squadristi con disarmante disinvoltura. Ma sapranno quello che dicono? Non credo. Squadra, fuori dal campo sportivo, ha un suo significato preciso, e allarmante; di squadrismo meglio non parlarne, si commenta da sé. Il fatto che il termine venga riesumato con tanta nonchalance non è un buon segnale, considerazione quasi ovvia: è un piccolo sporco evento che lascia però dietro di sé un fetore minaccioso, di preoccupante déjà vu, di vomito della Storia che, dimenticata senza troppi patemi, riemerge dal nero del pozzo. Tutte le signorine laureate del Padrone non sono state in grado di notare un'assonanza così semplice, così evidente con una delle pagine più infamanti della storia d'Italia, quella dello squadrismo nero: è ignoranza, e speriamo che sia solo quella, e non un modo di solleticare le nostalgie di qualche borghese dal saluto romano facile o di qualche testa calda della periferia. Il fatto che il Padrone poi non faccia una piega non mi sorprende affatto: quando c'è stato da distinguersi per profondità di pensiero e per preparazione culturale, lui era sempre da un'altra parte, a "fare". Che cosa, oltre alle proprie faccende, non si è mai saputo bene. Ma, ripeto, non c'è da meravigliarsi più di tanto, anzi, il progetto di questa Libertà gridata e falsa continua con straordinaria coerenza, accorpando un po' tutto, a casaccio, come nello stile del Padrone: nostalgia e pubblicità, cialtroneria e culto dell'apparenza. Non a caso, oltre agli squadristi, ci sono anche i "promotori", termine che sa tanto di commesso porta a porta, di testimone di Geova di questa nuova fede liberal fascista capitalista libertina padronale dittatoriale. Quanto al culto dell'apparenza ne abbiamo una riprova: lauree a pioggia e nullità di contenuti, dottore di qui, dottoressa di là e un bel taglio alla ricerca, un bel taglio alla cultura. Le camicie nere scambiate per un capo alla moda da esibire ai loro aperitivi.

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