riletture

Riprendere in mano i Promessi sposi è una scelta dettata da una certa disposizione d'animo. L'inverno, il bisogno della riscoperta, la necessità pratica di rivedere alcune tematiche per riformulare un giudizio. Ma sono solo alcune delle motivazioni. Forse questa specie di rilettura programmata è dovuta anche al desiderio di rimediare agli sfracelli scolastici, con quella letteratura insegnata così male, così in fretta, sempre dal punto di vista sbagliato. Con quella tremenda voce adenoidale, poi, che leggeva così male, senza cognizione di causa. Ricordo molto poco, per fortuna; il cervello tende a cancellare gli eventi più insopportabili. Campeggia ogni tanto una donnetta smilza, truccata per il circo, con degli orrendi pendagli attaccati al lobo dell'orecchio, oscenamente teso da cotanto bigiottame. Amen. Ora, il ritorno ai Promessi sposi, a tutta quella serie di personaggi ormai entrati a far parte del linguaggio comune: Azzeccagarbugli, l'Innominato, Don Rodrigo, Donna Prassede. Una carrellata di caratteri, ora capziosamente indimenticabili, ora studiati a tavolino per risultare patetici. Un romanzo, appunto, il primo romanzo storico italiano. Un romanzo scritto e riscritto almeno tre volte, per via di modifiche soprattutto stilistiche e linguistiche, che alla fine risulta come una specie di pastiche dove dei popolani lombardi parlano un fiorentino mediamente colto, senza inflessioni dialettali tipiche del lago e del nord Lombardia. Un romanzo strano quindi, inusuale. Anche Manzoni era un personaggio strano. Figlio della Milano bene, cresciuto un po' qua e un po' là, di padre dubbio, di madre eccentrica, di vita dissoluta o irreprensibile a seconda delle biografie. Cattolico e illuminista, di brucianti passioni e di altrettanto infiammati conservatorismi: un colto signore autodidatta che parlava l'italiano solo come terza lingua, dopo il dialetto milanese e il francese. I luoghi manzoniani ci sono ancora. C'è il lago, ci sono le sue alture. La collina del Brusuglio, dove il don Lisander soggiornava in vacanza, è ancora là, assieme alla casa avita. C'è anche qualcosa che serpeggia e che non è chiaro nella vita di questo scrittore d'altri tempi; letterato osannato e odiato, sempre e comunque racchiuso in un'inquietante bolla di privilegio che non lo rende troppo simpatico e che però gli conferisce anche il fascino dell'enigma. Ha avuto la fortuna/sfortuna di diventare un monumento: istituzionalizzato come un altare della patria da cui nessuno lo toglierà più. Vittima dell'indecenza professorale e del dileggio degli studenti, imbalsamato in una prospettiva nozionistica e libresca che, ora ho capito, non gli ha reso giustizia. Leggiamo, vediamo perché Manzoni è Manzoni.

0 commenti: