generazione di fenomeni


Ho ascoltato l'intervista ad Antonio Scurati nel bel programma di Costanza Melani La banda del book. Mi ha fatto pensare. Diffido ormai degli scrittori che troppo spesso si appellano al termine "generazione" quando parlano di sé. Come si fa a parlare di generazione? Chi o che cosa è? Uno scrittore non è detto debba per forza parlare a nome degli altri, e nemmeno è detto che gli "altri", la generazione in questo caso, debba parlare per lui. Sì, va bene, le mode, la televisione, il vestiario, la musica, sono elementi distintivi con i quali bene o male chiunque nato più o meno nello stesso periodo ha a che fare. Ma forse non è vero nemmeno questo. Voglio dire: pretendere di spiegare gli altri con frasi ultimative tipo: "La nostra generazione ha vissuto attraverso la televisione e non ha fatto esperienze proprie" mi pare abbastanza riduttivo. Ci saranno molti scrittori che si sono formati attraverso l'esperienza diretta, che hanno vissuto, che hanno usato armi e hanno vissuto i campi di battaglia. (Uso l'esempio bellico non a caso, visto che Scurati si definisce esperto in materia pur non avendo alcuna confidenza con l'ambito militare, e adducendo come spiegazione, per l'appunto, che la sua generazione è fatta così, non ha vissuto esperienze dirette). Hemingway diceva che bisogna parlare di ciò che si conosce. E' una buona regola di vita, ma non è una verità assoluta. Ci sono grandi scrittori di fantascienza che hanno gettato uno sguardo sulla realtà umana senza mai essere stati in orbita attorno ad un pianeta, senza aver mai sperimentato l'assenza di gravità, senza aver mai conosciuto esseri intelligenti provenienti da altri mondi. Ma non solo: Orwell non ha sperimentato sulla propria pelle le insidie del 1984, eppure il suo romanzo ha preconizzato molti aspetti dei decenni che sarebbero seguiti. In altre parole: non credo ci siano regole fisse, non ci sono consegne una volta per tutte, come molti autori vorrebbero far credere. La generazione è una definizione da anagrafe, ma niente di più, a meno che la fenomenologia generazionale non serva a nascondere un vuoto di idee, ma questo è un altro discorso. Di certo quando Scurati ha detto: "Il Vietnam della mia generazione è stata la Guerra del Golfo vista in poltrona" ho sentito un brivido lungo la schiena. Diciamo piuttosto che di guerre intese in senso proprio, con sangue, amputazioni, paura, luridume, cadaveri e malattie, né la sua né la mia generazione ne hanno vissute: non crogioliamoci nell'illusione di poter emettere un giudizio solo perché ne abbiamo sentito parlare alla tv. Del resto è Scurati stesso a contraddirsi: qualcuno la Guerra del Golfo l'ha combattuta davvero, qualcuno è morto. Anche della sua generazione.

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