Rimini, 25 anni dopo

Con Tondelli ho sempre fatto a pugni. Non è uno degli scrittori che preferisco, non penso nemmeno che sia un grande scrittore. E' autore di quattro romanzi, sempre che Altri libertini possa essere considerato un romanzo, e molte prose di viaggio e di costume, più un libretto di difficile collocazione (Biglietti agli amici) e una pièce teatrale (Dinner party). Nessuno dei suoi romanzi mi ha mai convinto del tutto. La tensione giovanilistica e una certa sistematicità del volere lo scandalo non me lo hanno reso simpatico. E' un autore che scrive bene ma che si diverte troppo spesso a dimenticarselo, per approdare ad un non luogo della scrittura in cui la passione per il triviale diventa un vizio, e la stessa ricerca antropologica di modelli metropolitani e sottoproletari risulta tanto più esibita quanto meno credibile. La sua morte, tragica, inaccettabile, prematura, ha contribuito a renderlo un'icona contemporanea, e dall'altare non sarà più possibile toglierlo, un po' come Pasolini. Per sfortuna di entrambi dico io. C'è un però ovviamente, sennò non ne scriverei. Il però è rappresentato dal romanzo di Tondelli generalmente meno apprezzato: Rimini. E' stato accusato di essere un libro commerciale, un libro sceso a patti con il mercato, ma non è vero. Rimini è un tentativo di analisi della contemporaneità: la vera capitale morale delle estati anni ottanta analizzata attraverso un dispositivo a più voci. Personaggi densi e leggeri si sfiorano sullo sfondo della baracca romagnola, porto franco di sballi, scazzi, sesso, droga, generale fuga dal mondo. Il giornalista, lo scrittore in crisi, il suonatore di sax, la ragazza tedesca alla ricerca della sorella scapestrata: sono tutte voci di un'umanità alla ricerca di se stessa, disillusa ma al tempo stesso ingenua. I personaggi che si alternano sono tutti volti del loro autore: demiurgo più o meno funesto, presenza impalpabile e costante. Rimini resta un tentativo coraggioso. Incompiuto, ma coraggioso. A dispetto dei giudizi affrettati è secondo me la prova migliore di Tondelli, quella in cui si è comportato di più da scrittore vero, senza bisogno di mascheramenti giornalistici o liricheggianti, senza il filtro dell'autobiografia o della scrittura al riparo dell'ombrello generazionale. Se Altri libertini infatti (e in misura minore Pao Pao) pretendeva di essere una sorta di manifesto generazionale a base di droga e sesso, Rimini cancella ogni tentazione ecumenica e presenta le cose per quello che sono: frammentarie, insufficienti, del tutto casuali. I personaggi non sono più inscrivibili in un movimento, che poi sarebbe quello del '77, ma sono solo schegge impazzite, dominate dagli impulsi, dalla convenienza, in qualche caso anche dalla noia. E poi Rimini è un romanzo vero. Ne ha la struttura, ne ha anche l'ambizione. Il fatto che il tentativo sia riuscito a metà è solo un dettaglio: l'importante era superare il bozzetto di costume, cosa che Rimini fa. Romanzo di transizione, forse, romanzo mediano, che prepara il salto dalla narrativa minuta a quella di più ampio respiro. Resta il rimpianto di non aver potuto assistere a questo salto. L'ultima opera di Tondelli fu Camere separate, applaudito da molti, ma non sempre in buona fede: un testo povero, gravato dal peso della malattia e dalla consapevolezza di una fine imminente e prematura. Difficile giudicarlo sul piano letterario, operazione che invece è possibile fare con Rimini, un'opera appesantita dal tempo, ma ancora efficace, chiara, ottimo esempio di buon italiano contemporaneo.

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