lettura di Stato

Leggere è importante, lo dice la pubblicità progresso. In decenni di scuola dell'obbligo, di cultura massificata, di programmi didattici e riforme e riformine non siamo riusciti a veicolare un concetto così semplice. Questa tristissima pubblicità non è un segnale di ripresa: è il simbolo del nostro fallimento, di una politica culturale che in Italia non esiste e che non è in grado di accettare la lettura per quello che è, un'esperienza estetica, ma si sente in obbligo di inserirla in una logica produttiva: leggi, così poi diventi più sgamato e guadagni di più. E questo Stato che entra nelle nostre case per comunicarci l'ovvio, è rappresentato da un governo al cui vertice c'è un uomo che in più occasioni si è vantato di non leggere da anni. La scuola, con tutto il suo carico istituzionale, salvifico, santificato, ha fallito miseramente il compito primario della sua missione: quello di educare al bello, di fornire gli strumenti per permettere a ciascuno di crearsi un percorso culturale e di apprendimento. Se abbiamo bisogno di una funerea pubblicità progresso per ricordarci che la lettura è il tramite principale della nostra formazione, allora siamo fottuti. Lo dico veramente: siamo fottuti. Perché finora ci siamo raccontati un sacco di frottole, un sacco di scemenze. Il grembiule a scuola, il modulo, il tempo pieno, la laurea triennale, l'Erasmus, l'informatica, perfino l'impresa, in un crescendo cretino, privo di forma, di senso, di buon gusto che ci ha portato non solo a non essere competitivi in niente, ma che è riuscito tutt'al più a renderci più scemi, più manovrabili, assolutamente inadeguati ad affrontare ragionamenti complessi. Perché la lettura è un piacere che va conquistato, sofferto. Bisogna imparare a leggere al di là dell'alfabeto: bisogna entrare nella logica della lettura. E non perché in questo modo diventeremo più ricchi o aiuteremo il Pil o daremo ossigeno alle imprese. Ma perché saremo persone in grado di pensare, di fare collegamenti, di entrare in contatto con il pensiero, di farlo nostro, di ampliarlo, di deformarlo in modo creativo. Perché la scuola questo non lo insegna?

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