morte di un poeta

Grande risonanza mediatica per la morte di Roberto Roversi. Grande e immotivata in una società che denigra e insulta la cultura. In un'Italia un po' Berluscònia e un po' Tecnocràzia fa quasi impressione che la morte di un poeta sia stata in grado di prendersi tanto spazio sui media, al pari della dipartita, che so, di un grande nome dello spettacolo o di un magnate della finanza. Forse perché a livello di inconscio collettivo la gente capisce che la perdita di un poeta, oggi, rappresenta una perdita doppia, tripla, quadrupla: è insomma qualcosa di irrimediabile. Una voce libera, una voce non condizionata dalle mode e dagli opportunismi non è un bene che possa essere rimpiazzato così, come se si trattasse di un pezzo di ricambio: perché le facoltà di un poeta, e quindi di un uomo che lavora sull'espressione e sul valore delle cose in sé, vanno troppo al di là dell'alfabeto minuto, spoglio, a tratti apertamente squallido di un manipolo di burocrati catapultato in ruoli di responsabilità pubblica o peggio ancora della volgarità macilenta di una corte di ruffiani e puttane. Forse la sensibilità collettiva della gente capisce, sa al di là delle forme esteriori che nella morte di un poeta si nasconde anche un po' della nostra morte civile, intesa come senso di partecipazione ai fatti della vita e adesione all'esistenza per ciò che è in sé, fuori dalle griglie di controllo di uno Stato o di un notariato di regime. C'è più verità in un granello dell'intelletto di uomini come Roversi che in miliardi di cifre senza senso vomitate da una politica sempre più incapace di spiegare il mondo per ciò che è e sempre più nascosta dietro l'ambiguità dei numeri. E allora anche la scomparsa di un uomo schivo, poco noto, al di fuori del Barnum letterario come Roversi fa da campanello d'allarme, come se un sistema di sicurezza interiore ci avvisasse che un altro lume si è spento, e con esso un'altra possibilità di capire. Non riesco a spiegarmi in altro modo l'interesse sorto in queste ore per un rappresentante di nicchia di un mondo di nicchia come la poesia. Non era un conduttore televisivo, non era un imprenditore da gossip, non era un uomo di potere. Era una voce libera e minoritaria. Eppure il senso del mondo che ci ha lasciato pesa come un macigno. 

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