racconto vagamente personale

E così anche stasera sono stato rapito dal solito mix musicale che da qualche settimana a questa parte mi sta ronzando nelle orecchie; un infuso di Paolo Conte, Velvet Underground, The Doors, Tom Waits, Joy Division che non so attraverso quali canali si è magnetizzato nella mia esigua riserva di mp3. Sto tentando di chiudere un racconto ambientato in un garage tratto da una storia vera. O era un sogno? Mah... I racconti hanno questo difetto: ti lasciano troppo presto, come un'amante. I romanzi qualche volta non ti si tolgono più di dosso, come una moglie diventata molesta. Sono tutte cose che mi dico quando fisso il bianco opaco dello schermo, fermo sulla pagina che provo a scrivere.

Non ascolto musica quando batto sulla tastiera, e non so bene perché, forse già il rimbalzare dei polpastrelli è sufficiente, non so. Ma non è questo il punto. Mi sono iscritto all'ennesimo concorso, in cui mi si chiede una consistente quota associativa (ed è gustoso leggere "a parziale copertura delle spese di segreteria", come dire, se ti sfiliamo appena 20 euro è per farti un favore). Non so che mandare: trabocco di storie e racconti, non so nemmeno più quando né come li ho scritti, sono tutti accumulati negli anfratti del disco rigido, nelle friabili chiavette usb, nei quadernetti stipati nelle scatole delle scarpe (ho scoperto che anche Pietro Citati fa così).

Insomma, qualche cosa dovrò prendere e imbustare, con la residua carica di aspettativa ridotta ormai al cero smozzicato di una chiesa poco frequentata. Ma quando è cominciato tutto questo? Non lo so, anzi lo so benissimo. Quando smisi di essere mentalmente presente a scuola per scrivere il mio primo racconto, che ancora conservo come una delle cose migliori che abbia fatto in assoluto. E' lì che è cominciato l'inghippo. Era una storia che parlava di ritorni e di incomprensioni, di distanze e di segreti.

Sunday morning brings the dawn in, it's just a restless feeling by my side. Ascolto canzoni che bene che vada hanno trent'anni, non me ne frega niente delle novità, e mi crogiolo in questo passato collage che non mi appartiene - non ero nemmeno nato - e che tanto rispecchia lo stesso rapporto malandato che ho con la letteratura. Eppure tutto questo insieme di reperti racconta me stesso molto di più, che so?, di Lady Gaga. Dio sia lodato. Come si fa ad essere contemporanei e pretendere di ritrovare l'Arcadia, e per di più combinando e lambiccando gli elementi più eterogenei? Sono le domande di queste ore. Insieme al mal di testa, che ha gentilmente preso il posto della nausea. Un gelato al limon mentre un'altra estate se ne va, libertà e perline colorate, ecco il dono che io ti farò (...) e ti offro una doccia ai bagni diurni, che sono degli abissi di tiepidità. Quando mi fu consegnata la scrivania fatta su misura alla quale lavoro abitualmente da un paio d'anni, mi ero ripromesso di tenerla in ordine, e grossomodo ci sono riuscito.

Libri a parte, che crescono ovunque come una vegetazione malata, o come le barriere di un ultimo ridotto, le fortificazioni di un bunker. Difficile farne a meno di questi prendipolvere depositari di cultura; mi convertirò anch'io al Kindle o chi per esso, ma so già che mi ci vorrà un po'. Balzac, Aristotele, Flaubert, il mitico libro intervista di Orson welles occhieggiano dalla superficie levigata del legno, e li ringrazio, e me li godo, e ringrazio. Per cambiare argomento: ci sono dettagli minuti che ricordo alla perfezione, episodi di quando avevo quattro o cinque anni, e per contro ci sono ampi spezzoni molto più recenti che ho praticamente cancellato; forse scrivo anche per colmare questi vuoti, non so.

Alle volte credo che il processo creativo altro non sia che un esercizio rabdomantico nei confronti di se stessi. Come in una ricerca del mondo perduto, del porto sepolto, della patria lontana, si fruga nel privato, nel rimosso, o forse, senza scomodare la psicanalisi, nel non detto delle cose. Quanti strati nebulosi abbiamo compressi nelle pieghe del carattere? Non tutto è materia di scarto. Ci sono doni lì dentro che possono cambiare la vita se si ha la pazienza di passare la polvere. I am tired, I am weary, I could sleep for a thousand year.

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