il dominio dell'irreale

In Viaggio al termine della notte di Céline c'è un passaggio molto suggestivo, in cui l'io narrante ricorda una civetteria della propria madre, la quale con sorriso un po' beota si vantava di essere una "povera di città", che è sempre meglio che essere una "povera di campagna". La frase lì per lì mi piacque, senza capire bene perché. Ora, dopo qualche anno, posso dire di averla finalmente capita, anche se in termini rovesciati: non sono i poveri di campagna ad essere più poveri, ma quelli di città. La povertà cittadina, che oggi magari è cresciuta fino a diventare piccola borghesia stipendiata, è una povertà senza memoria e con poca, pochissima identità, subito ingoiata dal consumo di prodotti (che è anche un consumo del proprio io), condannata a non avere eredità che vadano oltre l'appartamento dei genitori e fatalmente azzerata ad ogni passaggio generazionale. La povertà contadina rappresentava una simbiosi col territorio e con le radici, in un rapporto diretto con la produzione dei generi di sostentamento, ma non solo: l'eredità affettiva passava anche attraverso l'insegnamento di una conoscenza, di un sapere, che aveva a che fare con il ciclo naturale o con l'apprendimento di un mestiere. In città tutto questo non esiste, né è mai esistito: l'identità che si annida nel cognome, ma quasi come un ristagno o un detrito, è materiale anagrafico, un insieme di sillabe intercambiabile con quello di qualsiasi altra famiglia, che tanto consuma gli stessi prodotti in scatola, vive in case simili, ambisce a cose identiche e manda i figli nelle stesse scuole, dove imparano le stesse identiche cose. Effetti collaterali dell'industrializzazione, insieme con la disoccupazione (che è un portato industriale) e con la massificazione dei comportamenti. Da quando lo denunciò Pasolini, una quarantina di anni fa, il problema non ha fatto che ingigantirsi, e per una ragione fondamentale: il processo industriale non ha trovato uno sbocco che non sia la produzione a oltranza e il relativo consumo. E' un processo che non è ciclico, ma pretende una linearità esponenziale. Con conseguenze devastanti, che rendono povero anche chi non è consapevole di esserlo, anche chi è convinto che il solo fatto di essere ammucchiato in una città lo renda più tutelato: prendersi gioco di questa inconsapevolezza è la dinamica forse più spietata con cui l'economia irreale sta schiacciando la società reale. Che continua per buona parte a pensarla come la madre di Céline.

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