scuola 2.0

Mancava la proposta del neo ministro della pubblica istruzione: tablet per tutti, e così sia. Basta zaini procura scoliosi, basta ponderosi volumi da portarsi in groppa, basta penne e matite. Già qualche hanno fa, tra le tante balzane iniziative atte a distruggere quel poco di buono che ancora c'è nell'istruzione pubblica, comparivano trittici improbabili quali le tre "i": inglese (mi piacerebbe sapere le percentuali di chi ha imparato effettivamente l'inglese a scuola), internet (vediamo chi ha un laboratorio decente e soprattutto utilizzato) e imprenditoria (e qui stendiamo un velo pietoso e ridiamoci su). Ora la trovata: tablet per tutti. A spese di chi non si sa, ma pazienza. Mancano carta igienica, gessi, i soffitti cadono a pezzi, gli intonaci stanno attaccati per la muffa, i riscaldamenti viaggiano al minimo, ma le grandi menti sono sempre avanti, al di là di queste piccolezze prosaiche: progettano, spaziano, ipotizzano un futuro 2.0. Forse dovrei stare zitto, io che a scuola non ho mai imparato nulla. Forse le illuminate idee dei professori veleggiano a latitudini che non mi posso permettere, ma mettiamola così: che ce ne facciamo di un tablet se non sappiamo mettere insieme una frase in italiano, se ci sono docenti inetti, scuole che cadono a pezzi per di più brutte e squallide, degli orrendi prefabbricati usciti diretti da un incubo? Se la scuola non impara ad offrire gli strumenti intellettuali per crescere, che ce ne facciamo di un tablet? Al limite potremo infarcirlo di dati, di nozioni, di tabelle, di quei tremendi appuntini dettati dal professore (per cui alla fine si studiano i deliri di un signor nessun su Kant, anziché Kant), ma non di sapere autentico e irrelato. Un tablet è una banale massa si archiviazione con un'interfaccia particolarmente sofisticata: se non siamo in grado di produrre dei contenuti di cui la tecnologia si faccia strumento avremo in mano un pezzo di plastica, e basta. E se avevamo bisogno di un tecnico per sbandierare questa drammatica prospettiva, allora era meglio rivolgersi ad un improvvisato. Posto che si faccia qualcosa e non sia la solita manovra pubblicitaria, beninteso.

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