dialetto d'Europa

La reintroduzione dello studio dei dialetti nelle scuole, come di recente è accaduto in Sicilia, mi pare proprio segni una piccola grande sconfitta inflitta dalla piccola patria alla società civile nel suo complesso. La regione in questione è la Sicilia, ma potrebbe trattarsi benissimo di Veneto, Lombardia, Umbria, Puglia e ciascuno metta chi preferisce. In un quadro sociale già di per sé frammentato, ecco un altro tentativo per rendere il panorama italiano ancora più lacunoso, costellato di atolli, ciascuno con la sua storia da difendere a scapito delle altre, ciascuno portatore di una verità che, nella logica precaria del campanilismo, sotto sotto tende ad accreditarsi come più vera delle altre. Anche questa storia del salvare la memoria fatico a capirla. Sarà che sono un relativista della malora, ma non riesco a smetterla di interrogarmi su cosa sia, in nome del cielo e una buona volta, questa memoria: memoria di chi? Memoria di che cosa? Del passato che fu? Ma allora si aprono voragini incolmabili: perché non studiare anche l'aramaico o non estendere lo studio del greco antico a tutte le scuole del regno? Non sono forse parte della nostra memoria? Il fatto poi che questo studio venga imposto con regio decreto, la dice lunga sulla sua necessità effettiva: come tutte le imposizioni dall'alto, è una manovra destinata a soddisfare gli appetiti momentanei di pochi, e non a completare la formazione dell'individuo sul lungo periodo. Abbiamo una magnifica lingua unitaria, potremmo cominciare a difendere questa, anche in sede europea, dove siamo puntualmente umiliati dai primi della classe, invece di prenderci a spingardate con la nostra solita solfa di basso folklore. Apro un'ultima parentesi, ma questa è strettamente personale, opinabile, e un po' rischiosa da asserire: la mia sensazione è che la letteratura dialettale non sia all'altezza di quella nazionale. Ci sono delle eccezioni naturalmente - sempre le stesse tra l'altro - ma per favore, proviamo a guardare con un minimo di senso della realtà allo stato delle cose: è l'italiano l'unica lingua che nel guazzabuglio generale degli idiomi sia riuscito a dare vita ad un'eccellenza letteraria riconosciuta nel mondo. Rincaro la dose: oggi come oggi qualsiasi tentativo di imposizione del dialetto che esuli dal gergo familiare mi sembra una macchietta, mi suona come un atteggiamento canzonatorio che non fa molto onore. Un po' come il solito italiano all'estero che non spiccica una parola d'inglese e tenta di farsi capire a gesti.

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