Ieri sera navigavo a vista tra i numerosi e perlopiù inutili canali del digitale terrestre; ad un certo punto sono incappato in una trasmissione che più di altre mi ha colpito per la qualità superiore delle luci e della fotografia. Ho ascoltato di che cosa si trattasse: era un programma in elogio di un noto chef italiano, con testimonianze, interviste, resoconti e per finire un bello spot per il neonato locale dell'illustre gastronomo. Niente di male, c'è molto di peggio, anche se la deriva che la cucina sta assumendo è di per sé inquietante, visto il proliferare di libri e trasmissioni, quasi che i fornelli dovessero sopperire ad una mancanza, ad una carenza, ma questa è un'altra storia. La trasmissione, dicevo, non era neanche tanto male, se non fosse che dalle parole delle eminenze giornalistiche e culinarie interpellate, trapelava un tono quasi intellettualistico, da conciliabolo di educande: un tono che poco o nulla ci azzeccava con una salsa al radicchio e un tortello di zucca. Un tono che presagiva qualcos'altro: uno steccato netto e inavvertito con il mondo reale. Questi signori bene educati, questi giornalisti che viaggiano da un ristorante all'altro in nota spese, discutevano di primi e secondi come se fosse questo lo snodo nevralgico attraverso cui passerà la nostra società per dirsi moderna o meno, civile o meno, evoluta o involuta. In un crescendo di prendersi sul serio iperbolico, e quindi, in definitiva, comico. Sì, perché quando tra un'opinione e l'altra sbuca il critico d'arte che paragona un'insalata ad una risposta alla transavanguardia e al postindustriale, significa che qualcosa si è interrotto o, per contro, si è dilatato tanto da perdere di senso. Parlavano della vera Milano, la Milano della Scala, dei salotti buoni, del "risotto del dopo opera", ma che Milano è? Dove vivono questi signori? In un mondo che non esiste, o che esiste solo per una élite economicamente privilegiata. Economicamente, nemmeno culturalmente, perché qualsiasi parvenu si gode questa Milano ancora da bere, quindi smettiamo di girarci intorno e non parliamone più.
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