Le parole sono un'arma potente: se adeguatamente adoperate, lo sappiamo, possono sostituirsi alla realtà, o perlomeno piegarla, manipolarla, fiaccarla. Abbiamo parole per tutto, parole che definiscono tutto, parole che di ogni lingua e linguistica che si assimilano al nostro modo di comunicare e che servono a rendere concetti e idee sempre più nello specifico. Viviamo una sorta di titanica opera aperta, sempre in aggiornamento, che le possibilità di un mondo globalizzato potenziano in modo esponenziale. Eppure in molti casi i concetti stessi che queste parole evocano, o pretendono di definire, in fin dei conti sfumano, vengono meno. Prendiamo per esempio un termine come "libertà": che ne è stato fatto? Viene usato come slogan da partiti di ispirazione personale e autoritaria, viene sbandierato da quelle potenze (economiche) occidentali, che si insediano militarmente in un paese per fare non si capisce bene cosa. Meritocrazia? Non esiste. Viene citata di continuo, nel borsino delle parole abusate sta registrando una risalita inarrestabile, ma nasconde un vuoto: sono un pugno di sillabe che colmano un'assenza. Il giochino potrebbe continuare a lungo: il bene comune che cos'è, per esempio? La legalità invece? Il sospetto che nasce è che ci sia un'immane dose di malafede nel diffondere questi mantra, quando invece regna la perfetta consapevolezza che le magagne sottese ai concetti rimarranno tali: sempre magagne, intrallazzi, opacità. Come regola generale e un po' sommaria potremmo semplicemente constatare che tanto più una parola viene abusata, tanto più dietro di essa c'è un'assenza, che nemmeno le tonnellate di cattiva informazione, di censure di regime e di pochezza del giornalismo possono celare in eterno.
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