In una società ottusa e ipocrita come poche altre - quella italiana degli ultimi tempi - il meno che si possa fare è ripetere solfe, anche dieci volte al giorno, per darsi la carica, nascondere i problemi, raccontarsi l'ennesima favola. La sai l'ultima? La storia del talento. I ragazzi con il talento, i giovani di talento, i talenti che fuggono. Ma quanto talento che abbiamo. Che cos'è il talento? Beh, questo non è ben chiaro. Cantare a rotta di ugola in un programma televisivo? Può darsi, e allora dai, ammantiamo di credibilità anche l'ultimo dei contenitori per massaie in secca: chiamiamo professori dei tizi dietro un bancone e facciamo cantare un po' di ragazzi delle periferie, perché se il talento è sofferto, lo sanno anche i sassi, vende di più. Mettiamo poi che dalla fucina di talenti di non so che fuoriesca a mo' di eccedenza involontaria una qualche figliola predisposta, tra le varie, anche a occupare un seggio in politica: vai col tango, perfetta. Eccola là: pagina istituzionale, pagina Facebook, curriculum, perdiana, è laureata, che avete ancora da dire, sporchi invidiosi? E poi il meglio: "E' madrelingua inglese", e se la prima lingua di socializzazione non è l'inglese, come vorrebbe una sinistrorsa e pedante definizione linguistica, pace e amen, il messaggio è arrivato comunque. Che resta da fare? Ah, sì, scappiamo all'estero e poi inviamo un po' di mail ai giornali: Italia, fai schifo, che sarebbe poi l'aggiornamento meno romantico e più postindustriale del patria ingrata non avrai le mie ossa. Le vie del talento sono infinite; tutti ne hanno almeno un poco, tutti ne parlano, convinti di possederne una certa dose. Ci sono anche i portatori sani di talento: i genitori, specie quelli tendenti al mediocre, certi però che dai loro lombi siano scaturite delle creature geniali, o almeno meritocratiche: figli dottori, ingegneri, astronauti, fisici, male che vada cantanti, toh, giusto per rimanere in tema. Questi genitori non provano il minimo desiderio di avanzare di un millimetro sulla strada del sapere, ma si ripromettono di far studiare il figlio, per fargli ottenere il posto fisso e vantarsene dal pizzicagnolo. Era la definizione che Flaiano dava dell'uomo mediocre. Ma di talento, potrei aggiungere.
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