satyricon

Il tema della satira, a dire la verità, non mi ha mai appassionato granché. In un regime di libera circolazione delle idee e delle opinioni, la satira sarebbe accomunata a tanti altri generi d'espressione e la storia finirebbe lì. Il potere la contrasta, con esiti controproducenti, quando non apertamente ridicoli. La satira è un genere vecchio come il mondo, se ne hanno tracce anche nel mondo etrusco, prima che la satura lanx trovasse la sua definitiva consacrazione nel mondo latino. Con autori come Quintiliano, Orazio, Marziale, che non di rado si lasciavano andare a oscenità ed erano tollerati dal potere. Il giullare è sempre tollerato dal potere, perché le sue armi sono spuntate, generiche, offensive. Si dice che la satira veicoli informazioni che in bocca ad un intellettuale sarebbero passibili di denuncia, ma le rimostranze ridanciane di un comico sono lazzi, niente di più. Un intellettuale, un pensatore, persino un giornalista documenta, argomenta, mette nero su bianco, costringe il forte a misurarsi con la forza dei fatti e delle cifre. La satira strappa delle risate, accomuna la gente in un unico gregge che bela contro il padrone, facendo mucchio, ma allo stesso tempo deresponsabilizzando il singolo: la colpa non è mai del cittadino ma di chi lo comanda, come dire che la società si sviluppa a compartimenti stagni. Il gioco non solo non funziona, ma non ha mai funzionato: nessun giullare ha mai fatto cadere il re, così come nemmeno le penne argute di Marziale e Giovenale servirono mai a scalfire gli apparati di potere. L'importanza politica della satira è un fatto recente, ed è un destro offerto proprio dall'apparato politico stesso che, poiché debole, instabile, fondato su clientele, riesce e vedere pericoli anche nell'innocuo sberleffo di un comico. Il danno, alla fine, è solo di chi si illude che la satira possa sopperire alla mancanza di interesse civico e politico delle persone: secondo me, la vera causa di qualunquismo.

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