Bella e struggente la mostra che la città di Gallarate dedica ad Amedeo Modigliani. L'artista che con fin troppa facilità si tende a liquidare come maudit, corpo estraneo che ha trovato una sua dimensione nel ribollente magma culturale della Parigi a cavallo della Grande Guerra. In realtà Modigliani è molto di più: un apolide dell'arte, un frequentatore assiduo di modelli umani, di soggetti con i quali ingaggerà dei violenti corpo a corpo, allo scopo di catturarne l'essenza in pochi, limpidi tratti. Nonostante la vita difficile e fuori dagli schemi, nella sua arte non c'è traccia di volgarità: non un cedimento, non una concessione; ogni opera può dirsi aristocratica, perfetta entro la sua cornice estetica e a tratti visionaria, capace di deformare la realtà rimanendone misteriosamente fedele. Un'arte la sua, vissuta giorno per giorno, in ogni attimo, in ogni frazione di secondo: lo testimoniano i numerosi disegni, le bozze, i progetti, gli schizzi lasciati come eccedenza d'arte sugli involti di una pasticceria, su un pacchetto di fiammiferi, sul retro di altre tele. Modigliani è l'artista che brutalizza il suo talento: lo immiserisce, lo umilia, lo calpesta ben sapendo di poterlo ritrovare intatto e ancora più splendente un attimo dopo. La mostra evidenzia questi dettagli, provando anche ad addentrarsi nella sua vita privata, cercando tracce, elementi utili alla comprensione dall'infanzia fino alla sua tormentata vita sentimentale. L'artista livornese diventa paradigma di un'altra epoca, ultimo figlio di una tradizione artistica e culturale ancora in grado di mettere l'uomo al centro dei suoi interessi: un concetto di modernità per certi versi spiazzante, decisamente in opposizione al meccanicismo cartesiano e non. E se l'arte moderna fosse passata più attraverso i canoni di Modigliani che attraverso quelli di Beauchamp? Non avremo mai una risposta. Accontentiamoci di quello che abbiamo, che non è poco.
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