Bella intervista a Francis Ford Coppola, apparsa su Repubblica di qualche giorno fa. Il regista della saga del Padrino e di Apocalypse Now racconta gli ultimi anni, lontano dai grandi budget e dalle produzioni milionarie. Ora fa film a basso costo, che può permettersi di autofinanziarsi, film che, come lui stesso confessa, possono sembrare opera di un regista agli esordi, proprio perché basati su idee forti, che non necessitano di effettacci e di troppi soldi. Quella di Coppola è una lezione di cinema, ma anche di vita. Destino strano il suo: osannato agli albori della sua carriera e quasi dimenticato oggi, alle prese con la mancanza di fiducia del bel mondo di celluloide e con la disaffezione del pubblico, che, si sa, è di appetiti variabili. Non c'è autocommiserazione nelle sue parole, ma una dignità dolente, che in una società dominata dal mito vincente non fa mistero dei propri fiaschi e dei propri ripensamenti. In un'epoca in cui la tecnica sta prendendo il sopravvento sull'uomo e sulle sue idee (e la finta rivoluzione del 3D non fa che andare in questo senso), Coppola si chiama fuori. Continua a lavorare, ma lo fa per passione, anche perché può permettersi di non dare spiegazioni a nessuno e di continuare la sua ricerca espressiva nei modi e nei tempi che più ritiene opportuni. Come regista può piacere o meno, ma da un punto di vista strettamente artistico la sua presa di posizione, ancorché in parte forzata dalle assurde logiche del mercato, non può che fari riflettere. C'è chi ha delle storie da raccontare e chi preferisce i film giocattolo, unico ambito in cui dare sfogo alle peripezie tridimensionali, nuova frontiera che cede ad una tecnica ancora un po' di capacità di pensare. C'è chi prende il treno e chi preferisce rimanere alla stazione, fumando un sigaro.
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