E' una parola difficile e poco conosciuta che designa in realtà un espediente retorico usato e abusato: quello cioè di riferire una sensazione, per esempio uditiva, ad un'altra sensazione, appartenente ad un altro campo sensoriale. Per esempio: suono terso, o ancora gusto chiaro. Possiamo definire la sinestesia come un tipo di metafora. Ullman distingue la sinestesia dalla pseudosinestesia, spesso confusa con l'ipallage o lo zeugma mettiamola lì per senso di completezza. Ma non è questo il punto; il linguaggio della pubblicità ha abbondantemente attinto dal fenomeno linguistico allo scopo di venderci delle merci. Ora, questo procedimento è qualche cosa che la mente umana ha conosciuto da relativamente poco tempo. La figura retorica a scopo di lucro è un procedimento nuovo, spiazzante, che è andato a sostituire il sostrato emozionale e comunicativo con un whisky per il dopocena o una scatola di cracker "dal sapore esclusivo" (e questa del sapore esclusivo non è una sinestesia, ma una più abbordabile stronzata). Schiere di menti intente a escogitare furbate ed espedienti vari per vendere qualcosa. Con buona pace della metrica classica che, denigrata e umiliata dalla verve degli uomini del fare, deve accontentarsi di questi sbocchi insoliti e anche un po' sconci per vedere ancora la luce. La figura retorica nasce per infondere ai concetti un impatto maggiore, o ancora per far collimare la parola scritta con il suono di ciascuna parola; la figura retorica ha più senso infatti nella lettura ad alta voce. E questo perché nel mondo classico il testo scritto equivale ad una partitura musicale, che deve avere il suo equilibrio, le sue regole, le sue eccezioni, i suoi brani corali e i suoi assolo. Ecco perché anche l'esperienza della lettura non può dirsi banale; leggere bene è come saper cantare. Prendiamo lettori come Carmelo Bene, o Vittorio Gassman e confrontiamoli con quelli che ripetono a memoria la Commedia di Dante per far vedere quanto sono bravi. Vedremo che non è la stessa cosa.
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