La scrittura di Pietro Citati è sempre un'esperienza culturale. In pochi sanno accarezzare le parole come lui, quasi nessuno è in grado di strappare al linguaggio note più dolci e ricche delle sue. Il saggio Kafka ha qualche cosa di paradigmatico e inconfessabile: qui il grande critico letterario incontra uno dei più grandi scrittori del novecento: le due personalità si confondono, si scambiano, diventano parti di un mosaico fluido, osmotico. Kafka visto con gli occhi di Citati è una lettura felice, disincantata, delicatissima: è il racconto appassionato della vita di un uomo speciale, sensibile, colto, capace di raggiungere profondità omeriche, ma anche costretto in una vita che non gli apparteneva, in un mondo che non sapeva affrontare. Il ritratto di Kafka che ne esce è un quadro composito, ricco di sfumature, con un denominatore comune, costante e inquietante: la presenza dei demoni che hanno funestato tutta la vita dello scrittore praghese. Demoni che lo hanno perseguitato, inseguito, scovato e infine distrutto. Un uomo complesso, nel vero senso della parola: in lui i pensieri correvano veloci, e si frapponevano, si mischiavano, davano luogo ora a idee ora a veri e propri incubi; Franz Kafka era un artista tormentato, schivo, solitario. Un uomo che riuscì a dormire il sonno migliore della sua vita quando ebbe la certezza della tisi, e quindi della probabile morte. Citati ci accompagna passo per passo nella ricostruzione storica e culturale della vita dell'autore, ci suggerisce i principali nodi tematici, ci spiega i meccanismi che sottendono alla creazione delle opere, e spesso si tratta di ingranaggi sottili, delicati, che potrebbero andare a pezzi al minimo contatto. La letteratura diventa un gioco delle parti, serio, come tutti i giochi che si rispettino: uno scambio continuo tra il reale e il narrativo, dove la sostanza dell'arte inevitabilmente si confonde con la coazione a ripetere della vita. Kafka sta in questa terra di mezzo, dolce e disperato, indifeso ma anche capace di macerazioni interiori senza precedenti, e di capolavori introspettivi altrettanto inediti. Ciò che ci rimane è un enigma, una narrazione che, se non fosse vera, avrebbe tutti gli ingredienti per appartenere essa stessa al dominio romanzesco. Definire Kafka un libro di critica letteraria mi pare riduttivo: si tratta piuttosto di un'avventura letteraria, di un percorso ora sognante ora febbrile, che alla fine ci fa sentire parte di quel mondo, come testimoni partecipi e attoniti. Potenza della scrittura.
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