Le dichiarazioni di poetica sono una sorta di genere nel genere. Sarebbe curioso pubblicare una raccolta di prefazioni in cui gli autori descrivano le linee tematiche del proprio lavoro, le speranze, le illusioni, i passi avanti e quelli indietro. Non c'è niente di male nel dire i perché e i percome del proprio lavoro. Spesso i lettori stessi sono curiosi, vorrebbero sapere il perché di una data scelta, di un certo registro. In linea di massima sono una lettura piacevole oltretutto. Quali non possiamo ammettere? Verrebbe da dire quelle in cui l'autore sostiene di odiarle (ma già questa non è una dichiarazione poetica, o antipoetica o comunque in negativo?). Ma un altro a mio avviso è il caso più irritante: quello in cui lo scrittore esordisce con la fatidica frase: "Non amo parlare del mio lavoro, ma..." per poi lasciarsi andare ad un poema epico incentrato su se medesimo. Stile Claudio Magris, per intendersi. E' come dire che scriviamo troppo per poi continuare a scrivere. Sono tutte storie che non mi convincono. Chi sa scrivere deve continuare a scrivere finché ne ha voglia: dire ad uno scrittore che scrive troppo è come dire ad un cuoco che deve cucinare di meno, ad un avvocato che deve smettere di sostenere cause. E il bello è che sono gli scrittori stessi a dire, in età avanzata e a danno fatto: "Nella mia vita ho scritto troppo". Buona notte. Ma alcuni amano mortificarsi, come dire che scrivere è una vergogna. Scrivere in malafede è una vergogna, essere dei pennivendoli è una vergogna. Pensare al lucro e solo al lucro truffando le ragazzine è una vergogna. Lo scrivere in sé no. Meglio specificare anche l'ovvio, perché l'ovvio non lo controlla mai nessuno. Scrivere è una liberazione, è una fatica, è un lavoro, perché smettere, autocontrollarsi, autopunirsi? E' una mania probabilmente partita da quelli che scrivono poco perché non hanno niente da dire. Può capitare, per carità. Harper Lee ha scritto un solo romanzo. Ma che c'entrano gli altri? In fondo anche l'ambito di una storia è una proprietà privata, forse la più privata che si possa pensare, quella in cui provare ad essere liberi, senza che qualcuno venga a dire in che misura.
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