Noi popolo del grande Nord, noi diretti discendenti dei Celti e di Odino, noi grande ricco popolo messo in ginocchio da ventotto centimetri di neve. Noi ricco nord, noi popolo ribelle, ubriaco di acqua del Po, in mutande per qualche ora di neve. In ginocchio, in mutande, nel senso che qui, quando nevica, non funziona più una mazza. I treni si fermano, le strade sono spesso abbandonate a loro stesse, i mezzi pubblici vanno in letargo. E allora sorrido di fronte alle baracconate di ispirazione barbarica, con copricapi corniformi, lance e carretti. Sogni nordici che non ci sono, una lingua, quella italiana, figlia del latino. Ma non basta: il dialetto stesso, sia bergamasco, milanese, lagheé, o quello che vi pare, è derivato dal latino; è l'evoluzione locale del latino parlato. Tutto qui. La percentuale di biondi? Inferiore a quella della Sicilia, con il suo forte ceppo Normanno (è più nordica la Sicilia della Lombardia, sta' un po' a vedere...). E allora? E allora, da lombardo quattro quarti da svariate generazioni, nato e cresciuto in questa terra, sono arrivato alla conclusione che il mito nordico del Nord Italia è una fesseria. Bonaria fino a un certo punto tra l'altro. Sicuramente discutibile. Perché è meraviglioso essere figli della cultura latina; è un onore parlare una lingua come quella italiana, ed è una grande sensazione quella di poter vantare il trenta percento del patrimonio culturale mondiale. Se qualcuno preferisce le lingue ugrofinniche (nobilissime, per carità), è pregato di fare sul serio, e di impararsele, perché il nostro caro dialetto non viene certo da ascendenti scandinavi. La neve l'ha capito, e si diverte e prenderci per i fondelli. Ciapa va'.
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