Una decina di anni fa, quando ancora non sapevo fino a che punto e in che misura mi sarei occupato di letteratura e di lavoro culturale in genere, mi immaginavo un mondo di divulgazione cartacea, tangibile, che potesse passare fisicamente di mano in mano, che si ammonticchiasse nel vero senso della parola negli angoli delle librerie e delle credenze. Pur usando da sempre il computer e pur frequentando un web ancora piuttosto involuto rispetto a quello di oggi, adottavo un procedimento che era ancora novecentesco: assumevo cioè la veicolazione dell'informazione come un fatto di esclusiva competenza di riviste, giornali, quotidiani, case editrici e via dicendo. A mia discolpa posso dire che intorno alla fine degli anni novanta inizio anni zero era ancora piuttosto difficile ipotizzare, specie per un ragazzino, la capillarità raggiunta dal mezzo internet, ma questa è solo una parentesi. Fatto sta che oggi come oggi mi trovo ad usare internet come mezzo esclusivo di comunicazione letteraria: rispetto al panorama di qualche lustro fa, il passo è stato notevole. Da vetrina, specie di catalogo smisurato, il web è diventato il tramite stesso, come la carta e più della carta, assorbendo la funzione stessa della veicolazione e ponendosi come vettore esclusivo. Probabilmente sono più i pro dei contro: in un clima asfittico, dove gli editori che fanno il proprio mestiere sul serio sono pochi, e dove le possibilità creative per chi non ha padri e padrini sono poche o nulle, la rete ha assolto alla facoltà di scambio e di interpolazione di cui ogni autore, ogni critico, ogni operatore culturale ha bisogno. Servirsi di internet non è più un vezzo, o una moda o una scorciatoia, ma una necessità e, insieme, un esercizio di libertà e di sopravvivenza, laddove la dittatura dei tanti ha fatto terra bruciata intorno a chi non è amico o figlio o cugino o nipote di qualcuno.
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