Ricorre il trentennale della scomparsa di John Lennon, eroe contemporaneo, immagine ormai debordata nel mito, incorporea, eterea come quell'immagine di cui cantava nel celebre brano. Morto così, per la follia di un pazzo, per il gesto isolato di una mina vagante, l'artista ha finito per avere la meglio sull'uomo, l'arte sul segno, la potenza evocativa sul percorso esistenziale. La risonanza sociale, e ormai potremmo dire storica, di Lennon ha avuto la meglio sul tempo, raggiungendo quella gloria imperitura e quasi ingombrante a cui tutti i depositari di profonde verità alla fine ambiscono. O forse no, John Lennon, musicista di Liverpool proveniente da una realtà familiare non facile, avrebbe preferito fare a meno della gloria per continuare semplicemente a vivere, a scrivere e a cantare canzoni, a dare fastidio con la potenza del suo messaggio e a mobilitarsi per la giusta causa. Non sarebbe diventato un mito, forse, ma ci avrebbe tenuto compagnia più di molti falsi amici. Dopo trent'anni scopriamo che questo ragazzo dai mille volti (paffuto adolescente, ascetico guru anni settanta, barbuto chitarrista, occhialuto opinion leader) non solo è presente, ma ha addirittura precisato la sua collocazione, sì, perché con la giusta distanza abbiamo scoperto che le sue prese di posizione erano davvero rivoluzionarie, e non solo o non tanto una moda seguita e in qualche caso guidata con particolare senso etico ed estetico: erano carne, erano sangue, erano in una sola parola arte. La sua musica, da cui tutto è partito e a cui tutto torna, è ancora con noi, migliore e più sana di tutto il pattume che lo star system internazionale ci ha rovesciato addosso in questi decenni. E' la grande vittoria di Lennon: dopo le lotte per la pace, la lotta, forse ancora più grande, contro il conformismo. Sicuramente un John Lennon oggi sarebbe stato ancora più scomodo, ancora più inviso alla grande fabbrica dell'inutile che sorregge le nostre malandate economie. Ed è questa forse la ragione per cui oggi ci manca ancora più di trent'anni fa.
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