Il politically correct, ci piaccia o meno, mal si accompagna con la ribellione. Non esiste, sotto nessun punto di vista, una ribellione che possa essere pacifica, democratica, o che dir si voglia. Una ribellione che non passa attraverso un'iniziazione che sappia metterla sul piano della potenziale autodistruzione è di per sé un tentativo abortito, e dunque sterile. L'atto del dire no, non può iscriversi, come il Potere pretende, entro i canoni dell'Istituzione: non può farlo se non a costo di smentirsi, di snaturarsi, di castrarsi in nome della Regola stessa che la ribellione si propone di abbattere. E' un circolo vizioso, e non se ne esce facilmente. Da un lato il logoro "senso di responsabilità" a cui si appella l'ancien regime, dall'altro la necessità, da parte del nuovo, di rompere le tenaglie e riscrivere la società secondo le proprie regole, con un alfabeto che non solo non è riferibile al "vecchio", ma che sotto il profilo storico politico e finanche linguistico, è del tutto incompatibile con i canoni del passato. La politica d'apparato ha in realtà compreso benissimo questo scarto, e lo teme. Prova ne è che per contrastarlo, in tutta Europa non solo in Italia, sta opponendo le solite armi della delegittimazione, della derisione, della repressione silenziosa; ma sono armi spuntate, perché appunto figlie di un universo di simboli e di prassi legate ad un regime morente, e un regime morente può poco o nulla contro il potenziale biologico del nuovo. Il potere, inteso come politica d'apparato e come Istituzione, può tollerare al massimo qualche manifestazione di stampo borghese, ossia comunque legata ai codici del potere stesso e di conseguenza liquidabile con i soliti giri di parole, con qualche promessa, qualche risibile concessione. Ma il punto è proprio questo: la ribellione non ammette concessioni; la ribellione prende, e basta; la ribellione si configura come un atto che sfugge all'alfabeto pre-costituito per inventarne un altro, tutto suo, cosa che l'apparato non può comprendere, se non a livello istintivo, e può solo provare a stroncare prima che sia troppo tardi. Ma è una gara senza storia, e per una ragione molto semplice: l'Istituzione ha tutto da perdere, il ribelle no. Contenere la forza distruttrice di una rivolta è assurdo prima che ridicolo. L'elemento barbarico, in altri termini, è l'essenza stessa della ribellione: ma è una barbarie carica di vita, di energia, di codici nuovi, di possibilità che il vecchio non era in grado nemmeno di sospettare. La rivolta non ammette ragioni che esulino dalla sua, e, la Storia ci insegna, accetta di trattare solo a tabula rasa, quando il manico del coltello è già passato di mano.
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