Ho appena dato una scorsa ai romanzi che ho letto durante questo soccombente 2010 e ne ho ricavato un'impressione incoraggiante, visto che la media, letteraria e stilistica, si è mantenuta su livelli alti, senza sconfinare nei territori perigliosi della noia o del "farsi piacere" a tutti i costi qualcosa. Per esempio: Cent'anni di solitudine non mi piace, ho tentato di farmelo piacere ma non ci sono riuscito e in conclusione me ne sono fatto una ragione. Al di là di questo, mi incuriosisce rivedere il percorso intrapreso durante quest'anno; proviamo ad assegnare degli Oscar allora.
Nella categoria Riletture, Premio Speciale della Giuria a: Il mestiere di vivere, di Cesare Pavese, indispensabile caleidoscopio novecentesco, guida spirituale per scoprire un autore, modello di officina letteraria e umana di inesauribile ricchezza. Ex aequo, sempre nella stessa categoria, con Viaggio al termine della notte di Cèline, odissea nell'inferno umano dove tragedia personale e collettiva si fondono in un'unica miseria; affresco potente, irrinunciabile.
Nella categoria Sorprese, premio a: Trilogia della città di K., di Agota Kristof, libro da leggere, da capire, da tenere a portata di mano. Romanzo allucinato e allucinatorio che confonde il lettore, lo prende alle spalle, lo lascia stordito.
Nella categoria Romanzi Italiani, il romanzo che in assoluto mi è piaciuto, mi ha intrigato, mi ha convinto di più è stato Corporale di Paolo Volponi. I perché li ho già scritti nella relativa recensione: definirlo romanzo probabilmente è troppo poco, intrico di simboli e rimandi, mappa intellettuale di forze contrastanti. Un libro difficile, ma appagante per chi è in grado di arrivare fino alla fine, ma anche per chi al massimo arriva a qualche capitolo. Vorrei sfatare il falso mito per cui un romanzo va letto da cima a fondo, dalla prima all'ultima pagina: non è necessariamente così, non è una regola. Lo scrisse anche Daniel Pennac mi pare.
Altri due riconoscimenti: a Via Gemito di Domenico Starnone, che mi ha riconciliato con la lettura della narrativa italiana contemporanea dopo un breve ma travagliato periodo di sfiducia, e Hitler, di Giuseppe Genna, abile messa in scena del male, sottile indagine fenomenica non priva di qualche scivolone retorico, ma nondimeno potente nell'esito finale.
In conclusione, i due romanzi che avrei fatto meglio a non leggere: Macno di Andrea De Carlo, assurda e sgangherata ipotesi di futuro in piena involuzione stilistica anni 80. Un libro di carta velina. La svastica sul sole di Philip K. Dick, anche qui, romanzo distopico che in quanto a spessore non supera il cadeau di un sacchetto di patatine; ricostruzioni storiche improbabili, recondito razzismo nei confronti degli italiani, scrittura da terza elementare.
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