Se volessimo a tutti i costi inserire in una casella Il Male oscuro di Giuseppe Berto, potremmo tentare di definirlo un romanzo saggio, con in aggiunta lo sfondo dichiaratamente autobiografico. L'autore è il protagonista di queste pagine, e in esse si mette a nudo, senza reticenze, senza giri di parole, anche a rischio di risultare indelicato o addirittura sgradevole. Il male oscuro è il diario di bordo di un nevrotico, alle prese con una vita che non quadra, con il peso schiacciante del passato e l'ingombrante ricordo del padre morto. Il libro, pubblicato nei primi anni sessanta, suscitò scalpore, reazioni vibranti, e la ragione non è difficile da intuire: il racconto senza filtro di una disfatta, la cronaca in tempo reale e con tutti i dettagli di un declino psicofisico, può essere urticante, sicuramente provocatoria. Berto parla di sé, ma anche dell'Italia fascista traghettata, non senza contraddizioni e ridicolaggini, nel nuovo corso democratico e repubblicano; parla della vita di provincia, ma soprattutto smitizza senza troppi complimenti il topos della famiglia patriarcale: il padre, convitato di pietra e destinatario inconfessato del romanzo, è la figura negativa che motiva la regressione sempre più marcata della psiche dell'autore - protagonista. Il padre carabiniere in congedo che si firma ostinatamente cognome e nome, il padre autoritario e ingiusto, il padre ipocrita, pasticcione, incapace di gestire la modesta attività di cappellaio ma sempre pronto a dispensare consigli e a profetizzare sventure agli altri. Quella del maresciallo in pensione, è una delle figure più grottesche e insieme tragiche della narrativa italiana contemporanea: un agglomerato inestricabile di meschinità e ipocrisia, di cinismo e luoghi comuni. In una parola, il ritratto della piccola borghesia italiana di ora e di sempre. Il Federì di Starnone, al confronto, è un simpatico scavezzacollo, capace di scoppi d'ira ma anche di improvvise tenerezze; in Berto qualsiasi tentazione bonaria, umana, sentimentale in senso lato, è azzerata. Il maresciallo è un muro contro cui continuare a sbattere, all'infinito, senza possibilità di confronto né di redenzione. Madre e sorelle sono quasi annullate, fagocitate dall'imponenza del padre. La moglie, poco più di un inciampo, di un fastidio. Ma per capire questo romanzo è impossibile prescindere dalla chiave psicanalitica: la svolta, nella vita dell'autore, giunge con la cura della psiche, o forse sarebbe meglio dire con la discesa ad occhi chiusi nel labirinto di Es e Super io, di pulsione e inconscio. Berto ne parla da esperto, vittima e complice di una scienza in cui talvolta crede e che talvolta giudica poco più di un placebo. La trama avvolgente e disperata con cui ci avvolge questo romanzo, romanzo saggio, metaromanzo (c'è la sensazione di un romanzo nel romanzo in qualche caso) può avvincere, o per contro disturbare: sono i due estremi in cui la coscienza dell'autore e quella del lettore possono sperare di incontrarsi.
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