canta che ti passa

Anche frequentando poco lo sciocchezzaio televisivo, appare abbastanza chiara la tendenza dei media di far passare il popolo italico come una nazione canterina. A sentire lo sciatto frasario della tv generalista pare che tutti i giovani rampolli italiani abbiano in testa un'unica cosa: fare il cantante. Non il musicista, non il pianista in conservatorio, non lo sperimentatore musicale in chissà quali ambiti e sonorità, ma il cantante pop. Scuole televisive per cantanti pop, giovani talenti del pop, professori (my God) del pop. Forse anche questo piccolo dettaglio serve per rendere l'idea del progressivo deragliamento dei nostri parametri, che pur predicando benissimo (vedi l'abusata retorica dell'eccellenza) puntano così in basso che più in basso non si può, presentando un modello di pensiero (e di azione) univoco, standard, che nemmeno si sforza di modificare un po' della sua stantia visione delle cose. Le canzonette sono, in fondo, uno dei tanti sintomi che fanno bollire il termometro. Per inciso: ovvio che la gioventù italiana non sia quella che la scatola nera del televisore, ancorché full HD ci presenta, ma solo una proiezione falsa, di comodo, profondamente dozzinale. Negli anni Settanta la baracca sanremese stava per chiudere i battenti, vittima di un'esplosione creativa ed espressiva che non si riconosceva più nelle pastoie del conformismo e del popolare (non in senso gramsciano visto che va di moda dirlo). Era un'Italia di piombo, ma forse più ricettiva, più pronta a trarre qualcosa di nuovo dal caos incandescente. Ora la stagnazione. Lo stallo intellettivo, ricettivo; la coscienza anestetizzata. E l'automatico ritorno a forme di comunicazione più rassicuranti e meno pericolose: come le canzoni di amorazzi e cuori infranti. L'opposto della grande canzone d'autore italiana, che si fece portabandiera di istanze e di pensieri di un'intera generazione che vedeva la politica come una forma di utilità sociale. Non come un modo per fare affari e farsi i travestiti. Sarà stato quello che sarà stato, ma pensiamoci due volte prima di dire che noi, oggi, siamo migliori.

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