Meglio prendere il discorso alla larga. Mi sono imbattuto in Gabriele d'Annunzio molto presto, colpito da una fotografia su un libro di storia che lo ritraeva mentre arringava la folla. Era uno dei comizi che precedettero l'entrata in guerra dell'Italia nel 1915. Da allora il mito d'Annunzio (o la mitologia dannunziana) ha avuto un ruolo nella mia formazione, e non da poco. Ho letto parecchi volumi e opere monografiche che lo riguardano, mi sono appassionato di storia del novecento, ho visitato svariate volte il Vittoriale di Gardone. In sintesi questi sono solo alcuni dei motivi per cui forse non posso essere del tutto neutrale quando parlo di lui e della sua vita. D'Annunzio è una di quelle figure che seducono, che colpiscono l'immaginario, che fanno capire che forse è davvero tutto possibile, che l'arte in qualche modo diventa chiave universale d'accesso ad una dimensione autenticamente vitale. La mia è stata ed è una passione estetica, dovuta, forse, ad una visione di fondo che condivido: bisogna anteporre l'opera alla vita, ma questo è un discorso che prenderebbe molto tempo. Ho letto proprio oggi un articolo sull'inserto di Repubblica, che in qualche modo accostava la temperie fiumana della Reggenza del Quarnaro ai moderni fenomeni di neofascismo, accreditando il modus vivendi dei Legionari come una specie di protofascismo. Attenzione, perché stiamo giocando con il cristallo. Mi pare tendenzioso questo paragone. Do per scontata la ricostruzione storica (il perché e il percome d'Annunzio occupò Fiume per oltre un anno), ma non posso fare altrettanto con la dinamica che la sottende. L'occupazione di Fiume fu sostanzialmente un'operazione militare fuori da qualunque canone, una scarica di energia che finì presto in nulla, ovverosia nella più totale anarchia, nel baccanale più osceno: la Legione dovette arrangiarsi con la pirateria per non morire di fame (si attuavano già gli embarghi) e le malattie veneree spopolavano tra la truppa e non solo. Ma Fiume d'Italia fu anche un laboratorio politico e creativo senza precedenti. Qui convivevano futuristi, ex arditi, studenti universitari (Giovanni Comisso, mentore a venire di Goffredo Parise), futuristi di sinistra (Mario Carli), futuri strenui oppositori alle leggi razziali come Mino Somenzi, ma anche artisti di ogni genere, donne emancipate, omosessuali (!). La Fiume dannunziana fu un gran casino, d'accordo, ma fu anche il germe di quella spinta libertaria giovane e buona che sarebbe stata la prima vittima dell'oppressione fascista; fu a Fiume che si lanciò l'idea, pazzesca e velleitaria, di una grande internazionale per la "liberazione dei popoli oppressi", a Fiume che per la prima volta si sperimentò la stampa libera e la libera circolazione delle idee (furono stampati e distribuiti decine di fogli culturali). A Fiume, sotto quella specie di anarchismo istituzionalizzato, trovò spazio forse la prima associazione di yoga italiana, lanciata da quel personaggio incredibile e fuori dagli schemi di Guido Keller. Questa è una carrellata rapida e largamente incompleta, ma mi serve come pezza d'appoggio per dire che la definizione di protofascismo affibbiata all'esperienza di Fiume è un'inesattezza storica, perché tradisce quello che fu il contesto umano in cui si svolse, in cui venne alla luce. Il fascismo attinse a piene mani dalla mitologia fiumana (camicie nere, eja eja alalà, saluto romano) ma la travisò, la castrò, si servì di quella forza giovane e anarchica, la domò e la piegò a proprio uso e consumo. Ma dire che la Reggenza italiana del Quarnaro sia un fenomeno fascista è un errore, e grossolano. L'esperienza di Fiume fu un atto di disperata vitalità, di ricerca dell'assoluto, di esperienza estetica che non può essere compreso da tutti, me ne rendo conto; d'Annunzio in quei mesi ha dato voce e vita a tutta una generazione che era uscita con le ossa rotte dalla guerra e che cercava di trovare una collocazione e forse uno sfogo in un'impresa totale e totalizzante. Questa fu Fiume, e basta informarsi seriamente per capire come tutto ciò non abbia niente niente niente a che vedere con l'infamia delle leggi razziali, con la repressione degli oppositori, con il soffocamento della libera stampa, tutt'altro. Il revisionismo dovrebbe servire a chiarire aspetti come questo: far capire la differenza, evitando di banalizzare i contenuti, sbattendo tutto insieme, senza distinguo. Basta con la favola di d'Annunzio ultrafascista, perché è un'inesattezza: come poteva un artista vero, un amante della cultura, della classicità essere fascista? Un fascismo che anni dopo si sarebbe alleato con la Germania nazista, che fu il fumo negli occhi del Vate? Sfogo finito. Ma se qualcuno ha qualcosa da ridire mi faccia sapere, sono pronto a qualsiasi contraddittorio in merito. Due letture, queste sì complete e veritiere: Alla festa della rivoluzione, di Claudia Salaris, edizioni Il Mulino; Il poeta armato, di Antonio Spinosa, Mondadori.
1 commenti:
Posta un commento