Per parlare di Antonio Delfini occorre una premessa, nella quale va introdotto un altro nome, quello di Cesare Garboli. Garboli è uno dei più importanti critici letterari italiani del secondo novecento, che ha rappresentato, per la filologia, al tempo stesso un eretico e un eroe, un eterodosso e un coraggioso, una voce che ha squadernato quello che era l'establishment culturale degli anni sessanta e settanta, dominato dal formalismo russo e nella fattispecie luckacsiano. Il suo lavoro più rappresentativo, giusto per completezza, è La stanza separata recentemente ristampato da Scheiwiller, casomai qualcuno volesse approfondire. Ma questa è solo una glossa, per meglio capire il seguito. Uno dei lavori di Garboli unanimemente riconosciuti come fondamentali è la prefazione ai Diari di Antonio Delfini, pubblicati da Einaudi all'inizio degli anni ottanta dopo un lungo travaglio editoriale: un testo acuto, scritto benissimo, fedele nel ricostruire il sostrato psicologico di Delfini più che la sua biografia, del resto povera di eventi. Garboli e Delfini si conobbero e si frequentarono, furono in un certo senso amici, nonostante la differenza d'età. Qui arrivo io con la mia modesta riflessione. Ho letto il bel libro pubblicato di recente sempre da Einaudi, Autore ignoto presenta, con l'altrettanto valido profilo critico tracciato stavolta da Gianni Celati. Sono racconti, abbozzi, in qualche caso poco più che scarabocchi. Ma i racconti sono di alto livello: sono quel che si dice divertenti in senso etimologico: portano su un'altra strada, aprono una nuova prospettiva, ora leggera ora spiazzante, mai ovvia o banale. Delfini fu soprattutto uno scrittore di racconti, cui vanno aggiunte le poesie. Uno scrittore anomalo, fuori dagli schemi e fuori dai circuiti letterari. Garboli ne dà un ritratto lieve, impalpabile come carta velina: una figura eterea, sfuggente, irrimediabilmente superficiale. Bravo scrittore sì, ma nelle parole di Garboli c'è sempre una reticenza, una riserva di troppo che sembra volerne sminuire la portata puntualmente sul più bello. Per un curioso gioco del destino io ho letto questa ampia prefazione ma non i Diari, ormai introvabili e quindi non sono in grado di dire fino a che punto leggerli mi avrebbe portato più o meno vicino alle opinioni di Garboli. Ma, stando così i fatti, questa prefazione mi lascia l'amaro in bocca, perché, per essere chiari, Delfini viene descritto come una sorta di amabile coglione, un piccolo snob fuori dal mondo che in vita sua ha perso del gran tempo senza alla fine concretizzare alcunché di apprezzabile; piacevole, a tratti arguto, ma insomma, i veri intellettuali sono altri, sembra dire il critico. Garboli dice infatti che, più che uno scrittore, Delfini è il grande personaggio di un romanzo mai scritto. Come dire: un po' poco. C'è un che di compatimento nelle parole di Garboli che alla lunga stanca, e proprio perché si ha la sensazione di una continua sottrazione al reale valore dello scrittore. Forse meno pregevole da un punto di vista strettamente stilistico ma probabilmente più vicino al vero è allora lo scritto di Celati, che restituisce le giuste prospettive e dà all'autore modenese una dimensione più condivisibile. Ad ogni modo, una lettura da affrontare, da capire, per accorgersi che il patrimonio letterario, italiano e non solo, passa anche attraverso queste voci beatamente minori, e libere.
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