Zona disagio è il primo libro di Jonathan Franzen che leggo. Non avevo ancora la chiara percezione del credito di cui gode questo scrittore, in ambito anglosassone e non solo: a dare un'occhiata su internet e dintorni si capisce come sia sul trampolino di lancio, prossimo al picco della curva ascendente. Alla luce di tutto ciò, Zona disagio mi ha deluso. E' un testo che si propone come una memoria narrativa, una ricostruzione a scenari dell'infanzia/ giovinezza dell'autore: sprazzi di vita domestica, ritratti di familiari e amici, ricordi di scuola. Si tratta di scritti in parte creati ad hoc, in parte ricomposti dopo essere stati pubblicati alla spicciolata su varie riviste. Le idee viaggiano a corrente alternata, ora offrendo qualche spunto interessante, qualche massima di vita azzeccata e non banale, ora addentrandosi nell'aneddotica più stravagante (la descrizione con tanto di disegnini dello scherzo al palo della bandiera è quasi imbarazzante tanto è noiosa e incomprensibile). Nel complesso il libro veleggia su livelli accettabili fino all'ultima sezione, intitolata, con l'ormai consueto nonsense programmatico (consueto nei romanzi americani degli ultimi anni), Il mio problema ornitologico. Ecco, qui, si ha la netta sensazione che l'autore perda del tutto il filo della vicenda: a crudo, senza nesso alcuno, inserisce una corposa trattazione sul birdwatching, elencando specie, ricordando appostamenti, riferendo luoghi e tappe dei suoi viaggi. Una parentesi surreale, uno scherzo tirato per le lunghe che alla fine non spiega nulla e non porta da nessuna parte. In Zona disagio lo scrittore accetta il rischio di fondersi con il protagonista, ma non sa poi come venirne fuori: il risultato è questa scombiccherata galleria di istantanee incoerenti, come tanti pezzi di un collage messi lì a caso, o per meglio dire appiccicati in maniera posticcia dopo una tragica decisione di editing. Possiamo provare a considerare le parti migliori, più per fare un favore a Franzen che per rispettare un vago criterio filologico: Zona disagio non si discosta dalla media americana dell'ultima produzione, quella delle scuole di scrittura, per intenderci, vera e propria catena di montaggio delle idee narrative, ultima tappa di un processo di degrado, monumento alla "normalizzazione" della scrittura. Un'operazione che nemmeno alla Russia sovietica era riuscito.
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