Di solito non scrivo a proposito di saggi che ho letto, mi sembra di girare a vuoto, di non centrare mai il punto, di ripetere in modo scialbo quello che l'autore ha già detto. In questo caso mi sento di fare un'eccezione. Per l'alto mare aperto di Eugenio Scalfari è prima di tutto un percorso: cavalcata intellettuale a metà strada tra la riflessione ad alta voce e la discussione aperta sul grande tema della modernità. Parlare di saggio in senso stretto sarebbe fuorviante prima ancora che riduttivo: l'ultimo libro di Scalfari propone un punto di vista su un argomento, rivisita, in pagine ad alto tasso qualitativo, i temi, le letture, le curiosità di una vita pensata, e pensata, in senso lato, in funzione di quella grande ampolla culturale che è la modernità. Scalfari non tenta definizioni: tutto il suo saggio è in fondo un'unica grande risposta alla domanda: che cos'è il moderno? Nel libro si tenta una risposta: si individua l'origine negli Essais di Montaigne, si percorre questo filo sottile attraverso le pagine di Hegel, Nietzsche, Rilke, Proust, Leopardi, per poi trovare la conclusione del cammino, forse a sorpresa, nelle estreme propaggini di Montale e Calvino. Moderno, per Scalfari, è tutto ciò che si oppone al dogmatismo, che instaura nelle coscienze un dubbio, che pone la ragione (e il ragionamento) come unico faro nel mare delle idee. La sconsolata tesi finale è che siamo andati oltre quella fase, consegnati ad un imbarbarimento di ritorno, ritorti in una prospettiva che ha esaurito i grandi modelli del passato, per consegnarsi nuda ad un modello nuovo, e inquietante. Quale sia questo futuro imminente, è ancora difficile da dire. Per l'alto mare aperto è una lettura stimolante, colta, che offre, ad un livello ancora accessibile, gli strumenti di base per accostarsi alle idee pure: proprio ciò che oggi viene più sistematicamente ignorato, o peggio ancora deriso. Scalfari ci riporta a questa dimensione intellettuale dimenticata, proponendola indirettamente come tramite da riscoprire per guadagnare di nuovo la voce del proprio io, depositario per eccellenza di dignità, indipendenza, capacità critica, tutti quegli antidoti che una certa società dei consumi ha tentato con tutte le sue forze di annullare. Belle e originali le pagine su Rilke e Hegel; un certa sensazione di risaputo nelle osservazioni su Nietzsche e Proust. Di certo Scalfari si dimostra più a suo agio nel ragionamento filosofico che non in quello letterario. Peccati veniali in una lettura da affrontare, che in epoca di istant book e cialtronate di ogni genere riporta in primo piano i temi alti. Gli unici, in una vita così breve, che valga la pena di affrontare.
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