Rovistando tra una pila di fumetti consunti e oltraggiati dalle angherie domestiche, ho ritrovato alcuni Dylan Dog sopravvissuti alle decimazioni materne. Sono albi di un po' di anni fa, in uno stato di conservazione tutto sommato decente. Ero un fan critico dell'indagatore di Craven road; pur percependo la genialità dell'impianto narrativo, e l'originalità dell'idea di Sclavi, non riuscivo ad apprezzare completamente quell'impasto di horror, giallo, humor. Avvertivo la dinamica complessa, e di rimando, di molte di quelle storie: richiami letterari di genere alto e meno alto, riferimenti storici, incubi mescolati a realtà. Giunsi alla conclusione che Dylan Dog non faceva per me, e per una ragione abbastanza chiara: di molte storie non capivo quasi nulla. Non riuscivo, pur con tutta la buona volontà, a trovare il bandolo, il nesso, il significato. Era quasi frustrante, perché in quegli anni, nella fascia di età dagli undici ai sedici, avevo un disperato bisogno di senso. Non che ora non ce l'abbia più, ma, come dire, quell'esigenza pressante ha ceduto il posto ad una contemplazione più aperta e conciliante della cosiddetta questione testuale. In altre parole, con la crescita, quel tanto di maturazione, e quel tanto di riflessione culturale che ai tempi ancora non avevo, da un lato ho cercato di affinare il gusto, ma dall'altro sono arrivato a capire che il senso, in un'opera, non sempre è l'elemento più importante. Il senso è il significato, e ha un suo ruolo e una sua finalità, ma il traguardo per così dire estetico che qualsiasi lettore/fruitore si pone, si poggia su altre basi, che in Dylan Dog (che in quanto fumetto è un dispositivo narrativo oltre che un'arte sequenziale, come diceva Eisner) si accatastano e si confondono: queste basi sono i disegni? I riferimenti? Il piacere di viaggiare con la mente? Non ho ancora trovato una risposta, e forse nemmeno mi interessa trovarla. Come spesso accade, il vero interesse sta nel cercare. Per spendere un paragone importante ma non del tutto insensato secondo me, potrebbe valere per l'eroe di Sclavi lo stesso discorso fatto per il Leopold Bloom di Joyce. Con le dovute proporzioni, ovvio. Ma non siamo in presenza in entrambi i casi di una storia che poco o nulla ha a che vedere con la trama? Oscuro paradosso narrativo.
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