nuovi modelli di stile


Quale apporto possano dare queste "lezioni di scrittura" proposte dal Corriere, resta un mistero nel quale ho un po' di timore ad addentrarmi. Resta secondo me difficile da capire quale contributo possano dare alla materia letteraria Roberto Saviano e Beppe Severgnini, intervistati come supposti maestri di stile e mestiere. Del primo abbiamo ammirato l'oratoria civile e la straordinaria battaglia anticamorra, del secondo non ho capito ancora bene. Sono due nomi ugualmente enigmatici ed emblematici, e credo vadano tenuti separati. Saviano vive un'esposizione mediatica abbastanza folle, tanto fuori controllo che parlare di lui come intellettuale diventa un'impresa densa di rischi: la sua meritoria battaglia non va confusa con la scrittura nuda e cruda, e se il suo impegno è fuori discussione, altrettanto non si può dire per il fatto concreto del suo scrivere.

Non credo sia un bravo scrittore in senso puro. A livello narrativo non ha in pratica offerto ancora nulla, a livello di racconto/saggio, al di là di Gomorra che è un unicum difficilmente analizzabile sotto il profilo letterario, la sua prosa non presenta sostanziali caratteri di novità, palesando semmai un flusso di ritorno verso modelli arcaici della scuola meridionale. Niente a che vedere con Sciascia e Vittorini, tanto per dire, che stilisticamente sembrano avanti di almeno due generazioni. Dicevo, al di là di Gomorra. Mi ricordo di un brano in particolare, un'intervista a Leo Messi riproposta nella raccolta di articoli La bellezza e l'inferno. Per quanto mi riguarda, un piccolo compendio di come non scrivere: enfasi a profusione, mancanza di approccio critico, concetti risaputi. Molta retorica, in altre parole, in un lungo articolo intossicato da una vena di compiacimento nel giusto - vero grande tallone d'Achille del Saviano scrittore - che alla lunga non ho retto. Non sono riuscito ad arrivare alla fine, confesso.

Di Severgnini lo Spendibile (da una sua perifrasi ricorrente, "spendibile sul mercato") posso dire ben poco, se non che non lo apprezzo. Non ho letto i suoi libri, mi sono accontentato dei suoi articoli sul Corriere e delle sue precettose risposte ai lettori. Che posso dire? Non è nelle mie corde, non è in quello che mi piace pensare sia letteratura. Non credo che i pur simpatici Interismi vari né la produzione semiseria - o ironica come va di moda dire - accertino granché. Né d'altra parte posso pensare che sicumera intellettuale o pseudo tale di un onesto professionista del giornalismo serva in qualche modo a compensare quel tanto di inventiva, animalità e spinta vitale che in ogni epoca ha contraddistinto l'eccellenza letteraria.

In Italia, fino a una trentina d'anni fa, convivevano autori come Landolfi, Manganelli, Montale, Moravia, Garboli, Citati, Raboni e via di questo passo fino a domani mattina; oggi uno dei quotidiani più prestigiosi del paese propone il suo personale parnaso dei maestri, che invito ad andare a visionare, giusto per rendersi conto dello spostamento - non voglio chiamarlo in altro modo per evitare equivoci - qualitativo a cui stiamo assistendo. Sarebbe facile definirlo segno dei tempi, sintomo di una crisi irreversibile o altro. Ognuno ha il diritto, e forse anche il dovere, di farsi un'idea, specie ora che i mezzi critici scarseggiano, e vendere il piombo per oro colato è una pratica tanto diffusa, quanto, per pigrizia mentale, ampiamente accettata.

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