Il libro di fresca uscita di Tom Rachman, giornalista americano con il vizio dell'Italia, si intitola Gli imperfezionisti, narra le vicende di una testata immaginaria a stelle e strisce pubblicata a Roma, raccontandone i meccanismi interni, i tic, le caratteristiche. Inutile dire che il ritratto che esce di casa nostra e dell'impatto che la nostra informazione ha nei confronti del giornalismo internazionale è penoso. Rachman, da buon anglosassone, sintetizza così: "L'Italia non è potente, si punta sulle storie di colore: Berlusconi, pizzaioli, immondizia." Teniamo bene a mente questa triade, perché le conseguenze di tutto questo potrebbero rivelarsi molto, molto pesanti. Un paese come il nostro, che non riesce a conquistare il rispetto degli altri nemmeno per sbaglio, è un potenziale territorio di sciacalli, di speculatori provenienti da tutti gli angoli della terra. E' un paese sfilacciato, in preda alla pancia, nuova meta per orde barbariche in giacca e cravatta, e tutto questo perché l'amministrazione della cosa pubblica, e quindi anche dell'immagine pubblica della nazione, non è stata in grado di debellare gli stereotipi che ammazzano e soffocano la nostra immagine all'estero. Pasta, mandolino, mafia, oggi anche Berlusconi e pattume sono tutto ciò che riusciamo ad esportare. Il fatto sconcertante non è tanto la disgustosa superficialità dei tanti cronisti esteri (e segnatamente anglosassoni) che mangiano, bevono, scopazzano all'ombra del Colosseo per poi andare a raccontare ai loro connazionali che siamo un branco di pulcinella senz'arte né parte. Questo tipo di trattamento (vergognoso e disonorevole per chi lo pratica) non è una novità. Lo scandalo vero è che non abbiamo fatto niente per invertire il trend, per rompere questo circolo vizioso che ci vuole inetti, fanfaroni, buoni a nulla, traditori, furbi, piccoli e con i baffi. Il fatto che nemmeno il governo più conservatore e reazionario della storia repubblicana abbia mosso un solo passo nella direzione della dignità, dovrebbe dirla lunga. Mentre noi viviamo nel nostro piccolo mondo di puttanelle e corruzione, di bizantinismi democristiani e secessionismi mascherati da federalismi, c'è tutto il resto del globo che ride di noi, che ci snobba, che ci considera meno di niente. Certo, gli stereotipi sono duri a morire. Su milioni di italiani perbene emigrati nel corso dei secoli è bastata una limitata percentuale di canaglie per marchiarci a fuoco come una genia di sottouomini, e questa, purtroppo, è la Storia: ingiusta, infame, ma incontrovertibile. Ora però, sarebbe cosa buona e giusta, soprattutto da parte di chi sbandiera i presunti valori nazionali, cominciare a usare l'artiglieria pesante: smentire punto per punto, fare la voce grossa, dimostrare con i fatti che non siamo terra di conquista per nessuno, che c'è un'Italia con gli attributi, che sa valorizzarsi. Che sa dimettersi quando l'indecenza, ancorché penalmente irrilevante, bussa alla porta. Il crollo della Casa dei gladiatori, il generale dissesto del patrimonio culturale nazionale non è ovviamente il migliore dei viatici, ma l'antitesi di tutto questo, ossia la rivincita della parte buona del paese, potrebbe essere il punto di partenza.
1 commenti:
Il nostro Paese è allo sbando. Non è una novità, ci stiamo facendo i conti da più di un decennio. Eppure i conti tornano solo quando a farli è la classe dirigente, e guai a cercare di cambiare una virgola. Fanno una politica dei numeri: chi detta i numeri ha il potere, chi ha il potere può dettare i numeri. Un maledetto circo vizioso (il termine "circo" è voluto).
Speriamo di riuscire a sovvertire un po' questa tendenza, speriamo di recuperare un po' di credibilità a livello europeo, speriamo in una politica nuova volta al miglioramento e al progresso di questo Paese che ancora, nonostante tutte le disillusioni, vogliamo e dobbiamo chiamare "casa".
Speriamo, al momento non ci resta altro.
Un abbraccio,
Mattia
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