Il crollo della Casa dei gladiatori di Pompei è una caduta fisica, assimilabile a quella di un corpo troppo vecchio per reggersi in piedi: un crollo concreto, ma anche metaforico, perché quel corpo malato e stanco ricorda da vicino il momento che stiamo vivendo, la società che smotta, frana, si indebolisce. Il risveglio, dopo anni di bugie e passi falsi, passa anche attraverso la lama gelida della distruzione e della rovina; e non per causa di guerre, terremoti o rivoluzioni, ma per pura e semplice incuria, come se anche in questi episodi si avvertisse il lezzo del disfacimento più che della scarica elettrica, di una pigra decomposizione più che di un'incendiaria rivolta. Incuria, ignoranza, menefreghismo: tutti quegli ingredienti che, insieme a una forte fortissima dose di ipocrisia sociale, hanno segnato gli ultimi vent'anni della nostra storia. Della condizione del patrimonio culturale e artistico italiano, si è tornati a parlare solo a causa di questo episodio, che può essere tranquillamente assimilato ad un lutto: si accorre solo quando scappa il morto. Viene da fare la più cretina delle domande: ma dov'erano tutti quando si poteva e si doveva fare qualcosa? Quanti altri crolli imminenti potrebbero essere evitati? In modo un po' meno scontato potremmo provare a coinvolgerci direttamente nell'accaduto: dov'ero io quando accadeva tutto questo? Che posso fare io in futuro? Potrebbe essere l'occasione per un generale esame di coscienza, un esame individuale, severo, in cui riprendere le fila del discorso partendo dalle responsabilità individuali, quelle che non possono essere demandate ad altri e che non ci consentono la solita, facile via d'uscita: quella di scaricare colpe e indolenze sulla classe politica. C'è una zona di intervento più vicina, sulla quale possiamo intervenire direttamente: siamo noi. C'è una meraviglia paesaggistica e architettonica che deve essere salvata, una ricchezza culturale che deve essere la base del nostro futuro. Solo uno stolto potrebbe decidere di mandare tutto questo alla malora. O un furbo che nelle macerie, come un sorcio, spera di trovare un guadagno.
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