Il solito Report, capitanato dall'indomita Milena Gabanelli, ha ricordato ieri sera un grande del nostro calcio, Zdenek Zeman, tecnico boemo ma italiano di adozione che ha scompaginato il mondo del calcio negli anni novanta, con il Foggia dei miracoli prima, con Lazio e Roma poi. Fu il primo, una dozzina di anni fa, a combattere la buona battaglia contro il doping nel calcio, ottenendo come risultato quello di essere fatto fuori dal grosso giro. In molti avrebbero ritrattato, avrebbero corretto il tiro, avrebbero parlato di "parole travisate"; lui no. Zeman è andato dritto per la sua strada: un percorso lungo, difficile, fatto di cadute e di rivincite, sempre e solo con la forza delle proprie gambe. Zeman fu il primo (e anche l'unico) a ledere il velo di reticenza che da sempre avvolge il mondo del calcio con una semplice constatazione: un atleta sano che assume farmaci al fine di migliorare la prestazione sportiva commette doping. Una verità semplice e quasi ovvia che è stata sufficiente a fruttargli l'ostracismo a vita, perché l'ovvio, si sa, non lo controlla mai nessuno. Il risultato, penoso, è quel misto di omertà e connivenza a cui assistiamo oggi, perché niente, nonostante Zeman, nonostante calciopoli, è cambiato. Sì, forse c'è meno strafottenza di prima da parte di certi padreterni, forse c'è meno sicumera, ma la mentalità di fondo è rimasta uguale. Anzi, si è ampliata, se vogliamo, anche in senso lato: siamo arrivati a parlare di doping amministrativo, visto che molte squadre di calcio sono indebitate fino al collo e restano a galla solo in virtù di strani giochetti finanziari. Mi ricordo di quel periodo, una dozzina di anni fa: ricordo benissimo l'alzata di scudi contro questo eretico, colpevole di aver infranto il patto non scritto tra i potenti e i meno potenti, tutti uniti nella conservazione del sistema, sano o marcio che sia poco importa; una miniera da cinque miliardi di euro annui, un patrimonio sconfinato, un metodo di distrazione delle masse senza eguali. E ricordo il dileggio a cui è stato sottoposto il tecnico boemo: vittima ante litteram di quella macchina del fango che in seguito si sarebbe perfezionata in altri ambiti. Come ciliegina siamo alle porte della solita amnistia all'italiana: sotto chissà quali spoglie gli ex padroni del vapore torneranno più forti di prima, con tante scuse, riabilitazione e un mazzo di rose in mano, mentre Zeman, l'uomo contro, è tornato in lega pro, alla guida di una piccola squadra dal grande cuore, la squadra che tutti quelli che vogliono un calcio decente dovrebbero tifare: quel Foggia da cui tutto è partito. Per chi crede nel destino è un segno, per chi crede nella schiena dritta delle persone, una logica conseguenza.
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