I miei luoghi oscuri non è un romanzo. E' un'indagine, un'inchiesta privata in forma di romanzo. L'autore è anche protagonista della storia: è il figlio della vittima di un omicidio, Jean Ellroy, violentata e uccisa dopo una serata di baldoria. Non era una santa Jean. Non era quello che la gente credeva, o per meglio dire, lo era a metà; in settimana un'infermiera scrupolosa e una madre presente, nei week end una poco di buono o qualcosa di simile. L'omicidio si intreccia ad altre storie, restano sospese mille ipotesi, c'è la caccia al probabile assassino: un tizio magro e stempiato dalla carnagione olivastra. Alla fine il caso viene archiviato. Quarant'anni dopo, James Ellroy riprende le fila del discorso, con l'aiuto di un detective della omicidi in pensione. Un anno abbondante di indagini senza risultati: è passato troppo tempo, troppe cose sono cambiate e troppe persone sono morte. I ricordi si confondono, le acque si intorbidano. Ciò che colpisce di più nella scrittura paratattica e stringata di Ellroy è la continua ricerca di un alibi per la madre, vale a dire: perché Jean si comportava così? L'autore non può dare risposte obiettive, prima di tutto perché è il figlio, e in secondo luogo perché col tempo ha sviluppato nei confronti di Jean un attaccamento morboso. E' un libro incalzante, a tratti sfuggente. Prezioso per capire la mentalità ipocrita di un'America che va in chiesa la domenica mattina e a puttane il venerdì sera. Un luogo desolato, quasi sempre squallido, dove la povertà si è mascherata di dignità e dove il sentimento puritano middle class si è scisso in modo drammatico tra pubblico e privato. Le donne non si salvano. Muoiono, il più delle volte, ma solo in quanto anelli deboli di una catena di violenza di cui comunque fanno parte. Bevono, bevono tutti, bevono dalla mattina alla sera. I miei luoghi oscuri va preso come documento appassionato e incisivo, anche se alla fine approda al niente più assoluto. E anche se (e questa è a mio avviso la pecca più grossa) non ha il coraggio di farsi atto di accusa: l'autore solidarizza troppo con i protagonisti sordidi della sua storia, cambia idea troppe volte, si contraddice. Giustifica la madre fino all'ultimo rigo. Probabilmente la assolve. Il libro è un susseguirsi di nomi, fatti, luoghi che non portano a niente: sono tanti vicoli ciechi. Vale la pena di leggerlo per il senso di disperazione indifferente che emana. E poi c'è quell'assoluzione finale. Quell'indulgenza post mortem che non redime, ma che forse consola. E che condanna l'autore ad essere middle class come i parenti che disprezza tanto.
0 commenti:
Posta un commento