Se proviamo a pensarci bene, niente come il fenomeno leghista odora più di Italia. Difficilmente da altre parti avrebbe potuto sorgere un movimento così contraddittorio, così bravo a barcamenarsi tra mille, evidenti controsensi, non ultimo quello di odiare Roma salvo poi giurare fedeltà alla patria (intera) in quanto ministri e parlamentari. Un colpo al cerchio, il doppiopetto istituzionale, e uno alla botte, gli scalmanati xenofobi che allignano nelle frange più estreme del movimento. Un Fratelli d'Italia a denti stretti e una sparata sui fucili nel granaio, tutto così, alla rinfusa. E poi diciamolo pure: si può veramente decidere di avere fede in un progetto che non trova niente di meglio da fare che rifugiarsi nei dialetti e nelle piccole patrie? Che come massima ambizione ha quella di alzare una mura e chi s'è visto s'è visto? Le piccole patrie non nascono mai sane. Puzzano sempre di razzismo, di chiusura preventiva, di leggi speciali, di divisioni, di razza eletta e razza inferiore. Insomma, sono un concentrato di anacronismo, e sono oltretutto la negazione di quel principio su cui l'humus culturale del nord è veramente fondato: la fusione di diverse matrici. Quella celtica e quella latina, in primis. Ma anche quella francese del Piemonte e della Valle d'Aosta, quella slava del Friuli, quella ladina e germanofona del Trentino Alto Adige. La stessa Padania, che non esiste, è innervata di queste correnti diverse, che per mille cause storiche, politiche sociali o anche solo casuali si sono trovate a dover dividere la stessa porzione di territorio. Sarebbe bello sentire ogni tanto qualcuno che ricorda l'esistenza anche di un nord di questo tipo: un nord che è abbastanza sicuro di sé da non avere paura del resto del mondo, né tantomeno di quell'Unità alla cui formazione ha largamente partecipato.
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